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CASALMAGGIORE

Anziana morta alla Busi, i consulenti tecnici della Procura: «Si poteva evitare»

In corso il processo per omicidio colposo nei confronti del direttore sanitario della Rsa Giuseppe de Ranieri per l'incidente del 2020 in cui la pensionata 82enne Eugenia Baroni ha perso la vita

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

04 Ottobre 2023 - 18:24

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L’ingresso della casa di riposo Busi di Casalmaggiore

CASALMAGGIORE - Nel mese di luglio del 2020, l’anziana Eugenia, sulla carrozzina ci aveva già provato quattro volte ad uscire dal reparto, il Nucleo B della casa di riposo Busi. La sua stanza, la numero 28, in fondo al corridoio era molto vicina all’uscita di emergenza. Era accaduto il 17 luglio, e poi ancora il 19, e un’altra volta ancora il 22 luglio, infine il successivo 30 luglio, quando fu trovata vicino alle scale.


Il 2 agosto, domenica, l’anziana Eugenia Baroni, pensionata di 82 anni, paziente «con demenza cognitiva», paziente «agitata» che si muoveva sempre sulla carrozzina, ci provò ancora. Si spinse fino alla porta d’emergenza. Una porta «non chiusa, ma appoggiata». Eugenia l’aprì e con la carrozzina precipitò: cinque gradini, la morte sul colpo, l’allarme che suonava. Si poteva evitare? Sì, secondo Andrea Verzeletti, medico legale, uno dei due consulenti tecnici della Procura sentiti oggi al processo per omicidio colposo nei confronti del direttore sanitario della Rsa, Giuseppe de Ranieri (difeso dall’avvocato Giovanni Benedini), dell’allora medico del reparto Hugo Jesus Martinelli, e dell’infermiera capo sala.


I medici volevano trasferire nel reparto Alzheimer, al piano terra, l’anziana Eugenia, arrivata al Busi il 15 gennaio del 2019. Il colloquio con i figli era fissato per il 3 agosto, il giorno dopo la tragedia. Nell’ambito dell’indagine sula morte dell’82enne, delegato dalla Procura il 9 settembre un luogotenente dei carabinieri del Nas fece il sopralluogo, scattò le fotografie e acquisì il fascicolo sanitario dell’anziana Eugenia.

L’avvocato Giovanni Benedini


Circa il sopralluogo, chi ha indagato verificò il sistema d’allarme della porta d’emergenza, posto sull’anta sinistra. «Per far scattare l’allarme, bisognava aprire la porta con una certa angolazione», ha riferito il carabiniere. «Un porta appoggiata, non chiusa, larga 120 centimetri, 60 centimetri per anta; la carrozzina era più larga di 60 centimetri», ha spiegato l’ingegnere Stefano Cerini, consulente tecnico della difesa. Circa il fascicolo sanitario, l’inquirente del Nas ha raccontato di quei quattro tentativi di Eugenia di uscire dalla porta di emergenza così vicina alla sua stanza numero 28.


Nel diario del 17 luglio, una operatrice Asa scrisse che Eugenia si era agitata tutto il giorno. Così come il 30 luglio. «Ospite agitata, trovata vicina alle scale per scendere». Il medico riferì all’inquirente l’esigenza di trasferire l’anziana Eugenia nel Nucleo Alzheimer, al piano terra, perché la paziente era in stato confusionale. Eugenia si agitava, voleva sempre muoversi. Per questo furono messi mezzi di contenimento: le spondine al letto, una cintura pelvica quando girava sulla carrozzina. Il medico riferì al carabiniere che sul trasferimento al nucleo Alzheimer, «i figli della signora erano titubanti» e che «l’incontro era previsto il 3 agosto». Perché la prassi vuole che «medico avvisi i familiari i quali devono sottoscrivere».


Si poteva evitare? Sì, secondo Verzeletti. «Per quanto riguarda la patologia, sin da subito erano state prese misure di contenzione. Ma dopo quei quattro tentativi di uscire, non sono stati presi accorgimenti. La stanza era troppo vicina alla porta d’emergenza». Circa la terapia farmacologica, secondo i consulenti del pm andava «adeguata», perché l’anziana eugenia, affetta da «decadimento cognitivo avanzato, aveva la tendenza a vagare, muoversi in maniera non coordinata. Prendeva un antidepressivo (non un sedativo) e l’ansiolitico, una dose modesta, ma farmaci così non erano in grado di contenerla. Nelle more (in attesa del trasferimento nel reparto Alzheimer) ci stava un trattamento farmacologico diverso».

Non la pensa così Renzo Rozzini, responsabile dell’Unità operativa di Geriatria della Poliambulanza di Brescia, consulente tecnico della difesa. «Ineccepibile», a suo dire, la scelta farmacologica, perché delle due, l’una. O si considera l’aspetto etico, oppure, per evitare rischi, ‘stordisci’ il paziente con farmaci più potenti. «La nostra è una valutazione tecnica, non etica. C’era un rischio e non è stato adeguatamente affrontato», ha ribattuto Verzeletti.


Adriana è una delle infermiere che lavora al Busi dal 1993. Il 2 agosto era nella Rsa. Conoscevo la signora - aveva riferito la scorsa udienza - . Ero lì quel giorno, stavo facendo la terapia a una signora del nucleo opposto, quando mi chiamò una mia collega che aveva sentito scattare l’allarme d’emergenza e non aveva il coraggio di guardare. Mi recai di corsa nell’altro nucleo e vidi la signora Baroni sulle scale in posizione prona con la carrozzina sopra il corpo. Era ancora contenuta dalla cintura pelvica, provai a rianimarla, ma non dava più segni di vita, aveva una emorragia in atto a livello della bocca e del naso. Non sapevo che avesse tentato di scappare altre volte. L’ho saputo successivamente, leggendo le consegne». In aula si tornerà mercoledì prossimo, quando gli imputati si difenderanno.

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