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Morì al Busi: «Aveva tentato di scappare più volte. Perché era ancora lì?»

In Tribunale la drammatica vicenda della 82enne caduta in sedia a rotelle dalla rampa delle scale. Le figlie: «L’avevamo affidata a loro, dovevano trasferirla al piano sotto, quello dei sorvegliati»

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

13 Aprile 2023 - 05:20

Morì al Busi: «Aveva tentato di scappare più volte. Perché era ancora lì?»

CASALMAGGIORE - «Mia madre era ospite della Fondazione Busi dal 15 gennaio del 2019. Io andavo a trovarla dal lunedì al venerdì, dalle 16,40 alle 18.45, il sabato e la domenica pomeriggio fino a quando c’è stata la pandemia. Ai primi di febbraio del 2020, la Rsa venne chiusa alle visite. Sentivamo nostra madre al cellulare che le abbiamo dato noi». Roberta è la figlia di Eugenia Baroni, la pensionata di 82 anni morta sul colpo il 2 agosto del 2020, cadendo con la sedia a rotelle dalla rampa di scale del Busi. Era uscita dalla porta di emergenza che ha l’allarme.

La figlia Roberta ieri ha testimoniato al processo che vede imputati di omicidio colposo il direttore sanitario della Rsa, Giuseppe de Ranieri (difeso dall’avvocato Giovanni Benedini), l’allora medico del reparto Hugo Jesus Martinelli, e l’infermiera capo sala. Per il pm, avrebbero omesso di adottare «idonee e concrete misure quali, tra le altre lo spostamento della degente dalla stanza più vicina alla porta antincendio, a lei assegnata, a un’altra stanza più lontana; la fornitura di diversa carrozzina che non le permettesse di uscire liberamente dalla stanza; una modulazione della terapia farmacologica».

Le carte dell’inchiesta raccontano che già dal mese di luglio l’anziana Eugenia presentava un quadro clinico che la portava a comportamenti rischiosi per la sicurezza personale. Nelle settimane precedenti il tragico evento, infatti, tentò diverse volte di superare le spondine del letto, girava in autonomia per i corridoi del reparto, tirava i cavi del televisore, oltre ai ripetuti tentativi di uscire dalla porta antincendio del corridoio. I familiari non si sono costituiti parte civile: l’assicurazione li risarcirà.

«Nei mesi precedenti il 2 agosto — ha raccontato la figlia Roberta —, sentivo per telefono che la mamma non era la stessa, era giù di morale. Una Oss mi riferì che una volta tentò di avvicinarsi alla porta di emergenza. Nel foglio (della Procura, ndr) ho letto che aveva tentato cinque volte e che aveva strappato i fili della luce. Noi l’avevamo affidata a loro».

Dopo Roberta, ha testimoniato Milva, l’altra figlia di Eugenia. «Io andavo a trovare la mamma un giorno sì e uno no — ha fatto mettere a verbale —. Dopo il Covid, noi chiamavamo tutti i giorni la mamma. Sapevo che era andata in deperimento, non mangiava. Io chiamavo i dottori. Ho parlato con il dottor Martinelli. Mi diceva: ‘Ci pensiamo noi, le stiamo dando le vitamine’. L’ho saputo dopo, quando è morta, quando è arrivata la carta della Procura, che la mamma aveva strappato i fili».

La figlia ha spiegato che «la mamma doveva essere spostata nella struttura giù da basso, ma avevano bisogno delle nostre firme, poi è successo quel che è successo». Milva non si spiega come mai, per il consenso, «quando le hanno messo le sponde al letto, ci hanno fatto firmare dopo averle messe. E, allora, potevano farlo anche per mandarla nella struttura da basso, quella dei sorvegliati». Per firmare il consenso, le figlie avevano l’appuntamento alle 12.30 di lunedì. «La mamma è morta purtroppo il giorno prima».

«L’appuntamento era per comunicarvi non solo l’esigenza di trasferirla nella sezione da basso, ma anche che la retta sarebbe stata più alta?», ha rilanciato il difensore del medico di reparto. «Non ce lo avevano detto della retta. Non lo sapevo noi familiari, ma non ci sarebbero stati problemi», ha confermato Milva.

Dopo le figlie e il genero dell’anziana Eugenia, la Procura ha chiamato a testimoniare alcune infermiere. Una di loro è Adriana che al Busi lavora dal 1993. «Conoscevo la signora. Ero lì quel giorno, stavo facendo la terapia a una signora del nucleo opposto, quando mi chiamò una mia collega che aveva sentito scattare l’allarme d’emergenza e non aveva il coraggio di guardare. Mi recai di corsa nell’altro nucleo e vidi la signora Baroni sulle scale in posizione prona con la carrozzina sopra il corpo. Era ancora contenuta dalla cintura pelvica, provai a rianimarla, ma non dava più segni di vita, aveva una emorragia in atto a livello della bocca e del naso. Non sapevo che avesse tentato di scappare altre volte. L’ ho saputo successivamente, leggendo le consegne». In aula si tornerà il 4 ottobre prossimo. 

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