L'ANALISI
11 Ottobre 2023 - 17:38
CREMONA – «O mi mandi una fotografia della tua ... o pubblico l’altra. Io pubblico. Adesso pubblico». L’‘altra’ è uno scatto della vittima in mutandine. Milanese, 23 anni, di mestiere commesso: è il predatore di una ragazzina di appena 11 anni adescata su Instagram e ricattata pesantemente dal giovane che si era spacciato per quattordicenne. Il fatto risale a novembre del 2020, in pandemia, il periodo in cui si è registrato un boom di reati su minori. Il commesso milanese ora è a processo per adescamento, ma anche per detenzione di materiale pedopornografico. Nella memoria del suo smartphone, gli investigatori hanno infatti trovato 15 file di inequivocabili immagini di minorenni.
L’indagine è nata dalla querela presentata in Questura dalla mamma, il 13 novembre di tre anni fa. La sera prima la figlia, molto spaventata, bussò alla sua camera da letto e si confidò con lei. Le raccontò di essere stata agganciata su Instagram da un tizio di nome Francesco. I due si scambiarono i numeri di telefono, su WhatsApp si fecero alcune video-chiamate e cominciarono a chattare. Lui la lusingò: «Ciao, volevo conoscerti meglio, mi piaci moltissimo, amore, tu vuoi essere la mia ragazza? Se mantieni la promessa vengo a Cremona per te». Successivamente, l’adescatore chiese alla ragazzina di mandargli una foto di lei in mutandine e felpa. L’undicenne cascò nella trappola, gli inviò lo scatto, ma con l’accorgimento di non riprendersi il volto.
Il ventenne le chiese, allora, una foto di lei in mutandine e reggiseno, ma la vittima si stupì, si rifiutò. E lui cominciò ad insistere, tentando di convincerla che la sua richiesta non celava secondi fini. Lei non ne volle sapere. Dalle lusinghe alle minacce e ai ricatti. Una escalation di volgarità. «O mi mandi la foto o pubblico l’altra sui diversi social e siti per adulti». Le foto non gli bastavano. Il ventenne pretese anche dei video dell’undicenne in mutandine e reggiseno. Lei, stavolta, non abboccò: «Non me la sento, ti ho appena conosciuto». Ma più si rifiutava, più lui la ricattava: «Mandami il video» con la promessa che «poi la smetto», altrimenti «vado a pubblicare, io pubblico, okay io pubblico».
Alle 8 del mattino del 13 novembre (festa di Sant’Omobono, patrono della città) la mamma si presentò in Questura con lo smartphone della figlia e mentre il sovrintendente riempiva una pagina di querela (41 righe in tutto), il telefonino della figlia fu tempestato di messaggi. Era sempre lui, quel tizio di nome Francesco. Le chiedeva di risponderle con urgenza, minacciandola che se non lo avesse fatto, avrebbe «peggiorato la situazione». Alla querela furono allegati la fotografia e gli screenshot. Al processo, la madre si è costituita parte civile per conto della figlia. L’avvocato Marco Soldi ha chiesto un risarcimento di 25mila euro, di cui 10mila come provvisionale. L’imputato ne ha offerti 5mila.
Il legale che lo difende ha presentato al giudice istanza di messa alla prova. Stessa richiesta l’ha già fatta in un analogo processo in corso a Milano nei confronti dell’adescatore che, nel frattempo, avrebbe preso coscienza della gravità della sua condotta. «È in terapia, sta facendo un percorso psicologico», ha affermato l’avvocato. E in cura dallo psicologo è anche la ragazzina. Il processo è stato aggiornato al 14 febbraio prossimo. Il difensore dell’imputato dovrà presentarsi con l’assegno, la prova del risarcimento (la parte civile è disposta a prendere anche 5mila euro), quindi il giudice valuterà sull’istanza di messa alla prova.
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