L'ANALISI
CASALE VIDOLASCO
19 Settembre 2023 - 17:29
Gozzini, Gottardelli e il luogo del delitto
CASALE VIDOLASCO - «Omicidio aggravato dalla premeditazione»: 24 anni di carcere. Li chiede il pm Francesco Messina, per Domenico Gottardelli, 79 anni, l’artigiano idraulico in pensione che la mattina del 14 settembre di un anno fa, a Covo, nella Bergamasca, dove abitava, saltò sulla sua stravagante Due Cavalli, il fucile Beretta calibro 12 appoggiato sul sedile, puntò su Casale Vidolasco: dieci chilometri in tutto. Parcheggiò davanti alla Classe A Energy, entrò in ufficio, sparò due colpi: il primo sul pavimento, il secondo, a bruciapelo, mortale, contro Fausto Gozzini, 61 anni, villone a Romano di Lombardia (Bergamo). Freddò l’ imprenditore e amico di tante cene e vacanze trascorse insieme, anche giù a Susa, in Tunisia, dove Gozzini aveva un casa. La prestava all’artigiano che ci stava anche sei mesi. E allora perché Gottardelli — «Persona capace di intendere e di volere al momento del fatto» per i periti psichiatri incaricati dalla Corte d’Assise — si è macchiato di sangue quel mercoledì?
«Sul movente regna l’incertezza», dice il pm. C’è la verità dell’omicida: la storia dei 300mila euro ricavati dalla vendita di una casa a Predone, sul lago d’Iseo, sponda bergamasca, Gottardelli li teneva in garage. Cinque anni fa sparirono. Il pensionato è convinto che a rubarglieli siano stati l’amico Fausto e la cameriera. «Avevano una relazione clandestina, prestavo la mia casa per i loro incontri. Solo loro sapevano dove avevo i soldi».
Ma per il pm, «la versione dell’imputato non appare convincente». La cameriera che da 28 anni teneva in ordine la casa di Domenico Gottardelli, fu sentita dalla polizia giudiziaria. «Ha confessato di aver avuto una relazione con Gozzini», ricorda il pm, ma ha precisato che i loro incontri «non avvenivano mai nella casa del pensionato».
Ancora, «la collaboratrice domestica era al corrente che Gottardelli aveva i soldi», ma ha negato di averli rubati. «La versione di Gottardelli presenta incongruenze — prosegue il pm Messina —: non ha licenziato la collaboratrice domestica, non ha mai denunciato la sparizione di denaro, nel rogito la cifra ammonta a 70mila euro».
C’è, poi, il movente alternativo «legato alla casa in Tunisia», va avanti il pm. È il movente alternativo della «pedofilia». È il colpo di scena arrivato alla prima udienza del processo attraverso la testimonianza di Renata Galbiani, vedova di Gozzini. «Il marito aveva saputo dal socio in Tunisia che Gottardelli li ci portava i bambini e Gozzini non voleva più dargliela, ma lui aveva insistito nel volerla», sottolinea l’avvocato di parte civile, Emilio Gueli, legale della vedova Gozzini e del figlio Marcello, entrambi quel mercoledì in azienda: videro il marito e padre morire sotto i loro occhi. Per questo, alla Corte d’Assise, il legale chiede di condannare Gottardelli a risarcire moglie e figlio con 400mila euro a testa; 300mila euro li chiederà l’avvocato di parte civile Alessandro Pasta, legale dell’altro figlio Marco.
Gueli parla dello «scredito a livello mediatico: nei primi mesi, le attenzioni si sono rivolte sulla vittima». Tant’è che il legale ha ribattuto a un giornalista: «Fareste bene a indagare sull’assassino». E sempre dall’avvocato Gueli arriva alla Corte d’Assise la richiesta «di determinare l’entità del risarcimento», ovvero di non rinviarla ad altro giudice civilista. La famiglia Gozzini ha già sofferto, «evitiamo altri percorsi penosi».
«Noi non abbiamo elementi certi per sostenere che Gottardelli abbia intrattenuto rapporti sessuali con minorenni . Può aver ucciso per la prima ragione, o per la seconda, o per entrambe o per altro ancora», prosegue il pm Messina. Mentre è certa l’aggravante della premeditazione. Lo stesso imputato al processo ha raccontato di aver meditato la decisione due giorni prima, quando, rincasato da una visita medica, «ho trovato le lenzuola del letto stropicciato» e da lì «sono scoppiato, dopo aver passato cinque anni a macchinare, macchinare, macchinare».
Il pm chiede, però, che all’imputato sia riconosciuta l’attenuante delle generiche «in ragione del comportamento processuale corretto». Perché «dopo il delitto è rimasto lì, ha aspettato i carabinieri, ha ammesso subito, ha ammesso il delitto davanti al gip nell’interrogatorio di garanzia, lo ha ammesso anche qui».
Un comportamento processuale, al contrario , «sprezzante», contrattacca l’avvocato Gueli. «In un giorno ha deciso di uccidere: lo ha pianificato. La mattina ha telefonato a Gozzini per accertarsi che fosse in azienda. Determinazione e premeditazione attribuiscono al dolo una intensità estremamente elevata di cui la Corte dovrà tener conto». Insiste: «Dolo di una volontà intensa, più intensa di così non saprei. Anche nei mesi successivi. Si è inventato la storia dei 300mila euro presi dalla vendita di una casa che, da rogito, è stata pagata 75mila euro: una vecchia baracca, un locale e un servizio. Gottardelli ha mentito su tutto».
Torna, Gueli, al «movente alternativo»: la pedofilia. «Noi non sappiamo se sia quello il movente, certo è che il socio di Fausto Gozzini sapeva del problema della pedofilia». Ricorda la frase riversata dalla vedova nel verbali del processo: «Gottardelli è un lupo travestito da agnello». E rilancia: «Fino a che punto dobbiamo farci prendere in giro da Domenico Gottardelli?».
La sentenza sarà emessa il 26 settembre prossimo.
«Il reato, gravissimo, è certamente premeditato». Non se lo nascondono nemmeno gli avvocati Santo Maugeri e Pietro Mazza. Seduto accanto ai suoi legali, l’anziano Domenico Gottardelli non ha battuto ciglio alla richiesta del pm di condannarlo a 24 anni per omicidio volontario aggravato e per detenzione e porto illegale del fucile. «Non ho niente da dire».
Forse qualcosa dirà martedì prossimo, prima che la Corte d’Assise si ritiri in camera di consiglio. Intanto ascolta l’arringa dei difensori. «Il reato, gravissimo, è certamente premeditato». E, quindi, il loro margine di manovra si restringe. La difesa punta a non far scontare in carcere a Gottardelli la pena che gli verrà inflitta, ma ai domiciliari in un luogo che dovranno indicare alla corte entro martedì. L’idea è di mandarlo ai domiciliari in una Rsa con stanza a pagamento dell’assassino.
Tre motivi sorreggono la richiesta. Il primo è l’età: «Ha 79 anni e 4 mesi». Il secondo sono le condizioni di salute. «È un detenuto seriamente malato, ha il diabete, è un trapiantato di fegato».
Ma il pm si oppone, rifacendosi alle conclusioni dei periti della Corte, secondo cui «le condizioni di salute fisiche e psiche dell’anziano non sono incompatibili col regime carcerario».
Il terzo punto su cui fa leva la difesa: «La funzione della pena che tende alla rieducazione del condannato, ma Gottardelli non ha mai compreso il significato».
Il 79enne che il carcere lo chiama «collegio» e la cella «studio», nei colloqui col legale ha detto: «Io sto bislaccamente interpretando l’intermezzo come una piacevole vacanza. Sì, mangio. Stasera in tv c’è l’Italia che gioca».
Gottardelli non ha mai dato segni di resipiscenza, di dispiacere per aver ucciso Gozzini. «C’è un forte sentimento di rivendicazione, di rabbia che ha portato il suo racconto ad essere sofferente: un gesto liberatorio», spiegano i periti, che nei colloqui con l’imputato hanno avuto «la sensazione di una persona che aveva ritrovato l’equilibrio, la serenità: in pace con se stessa».
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