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Lavoratori vittime sacrificali, come birilli da buttare giù...

Quando i carichi sono inadeguati e le tutele minime, l’esito è scontato: aumentano le vittime. E così il lavoro, da luogo di vita, diventa esperienza di morte senza che nessuno si scandalizzi

Don Bruno Bignami (Ddirettore dell’Ufficio Problemi sociali e del lavoro della Cei)

12 Settembre 2023 - 05:25

Lavoratori vittime sacrificali, come birilli da buttare giù...

Ironia della sorte. La parola sicurezza viene usata a sproposito per i decreti sui migranti, dimenticando l’alveo autentico entro cui dovrebbe essere collocata con pertinenza: il lavoro. L’incidente sui binari di Brandizzo, nel Torinese, ha fatto scalpore. In un colpo, cinque operai sono stati sottratti alle loro famiglie e un macchinista si è trovato in una situazione che non avrebbe mai immaginato. Vite spezzate. L’incuria e l’irresponsabilità ha fatto dei lavoratori birilli da buttare giù. Il problema è che le vittime e gli incidenti sul lavoro si susseguono giorno dopo giorno. Normalmente non si tratta di morti plurime, ma di singole tragedie che dissanguano il tessuto vitale del nostro Paese. Nel silenzio generale.

I dati ci dicono che nei primi sette mesi dell’anno in corso sono avvenute 559 morti sul lavoro. Nel 2022 le vittime sono state 1.090. I luoghi e le modalità sono le più disparate, ma l’esito è sempre lo stesso: l’umanità è calpestata. Il fenomeno allarmante è accompagnato da un calo di attenzione dei media che deve far riflettere, come emerge dalla recente indagine condotta da Volocom, azienda leader nel settore della Media Intelligence. Certo, alcuni casi salgono alle cronache perché eclatanti, ma i più vengono dimenticati: in vita come in morte. Tutto ciò conferma una condizione culturale: i lavoratori sono parte di un ingranaggio e vittime sacrificali del profitto e di formazione inadeguata.

Si aggiunga peraltro che gli infortuni e le malattie professionali sono anche un onere economico. Incidono sul Pil nazionale con una percentuale che va dal 3% ad oltre il 6%. Alla faccia di chi continua a considerare la sicurezza un costo. Al contrario, è il più saggio investimento che possiamo fare: è fattore di civiltà! Ha fatto riflettere l’intervista pubblicata da un quotidiano nazionale a P., 22 anni, fino a pochi giorni prima della tragedia collega dei cinque operai uccisi a Brandizzo. Si è dimesso da quel posto di lavoro perché «l’ultima busta paga, tutta di orario notturno, comprensiva del Tfr, è stata di 980 euro. Il mese prima ne avevo guadagnati 899». E ha aggiunto: «La tabella in Sigifer è questa: primo contratto di un mese, poi tre contratti di sei mesi, solo dopo questa trafila, se gli vai bene, tempo indeterminato. Ci mandavano in cantiere con le lampadine sul casco che fanno pochissima luce. Nessun lampione. Ci facevano firmare un corso sulla sicurezza mai effettuato. E siccome non timbri ma hai solo il foglio ore, capitava di fare sia il turno del mattino che quello di notte».

Frasi che sconvolgono. Chi è l’uomo, viene da chiedersi? Le trasformazioni del lavoro, così determinanti nell’epoca del digitale e della rivoluzione tecnologica, non riescono purtroppo a scalfire la cultura dello sfruttamento e della precarizzazione. Non è un caso che gli incidenti si verificano nelle aziende che chiedono ai dipendenti cambi frequenti di mansione o che esternalizzano le attività più pericolose a cooperative di servizi che trascurano la formazione, pagano poco e costringono a ritmi lavorativi sempre più pesanti. Quando i carichi sono inadeguati e le tutele sono minimizzate, l’esito scontato è l’aumento di vittime e infortuni. Il lavoro da luogo di vita diviene esperienza di morte. A che serve contare le morti sul lavoro senza una presa di coscienza che tutto ciò ha responsabilità ben precise e si radica in una cultura dello scarto?

È necessario un approccio integrale, in grado di prevenire le tragedie. Nella giusta direzione vanno gli investimenti sulla formazione dei lavoratori (la loro tutela dipende anche dai livelli di concentrazione e dalla prevenzione attraverso il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione) e sulla ricerca nelle nuove tecnologie, capaci di limitare all’uomo le mansioni più pesanti. Un buon contributo potrebbe venire dall’attività scolastica, se la sicurezza sul lavoro e l’educazione alla salute diventassero discipline inserite nei programmi curricolari di studio. Inoltre, è ancora troppo carente la vigilanza da parte delle istituzioni competenti: l’educazione e i controlli sono la base per una seria prevenzione.


Serve un «nuovo umanesimo del lavoro» (papa Francesco). Purtroppo, non ci scandalizza più nulla. Assistiamo impotenti a singoli casi di morte o di infortunio, senza renderci conto che a fondamento c’è una visione sbagliata del lavoro. Alla cultura dello scarto contribuisce anche la ricerca delle promozioni sottocosto nel carrello della spesa. Tutti sappiamo che dietro a prezzi fuori mercato ci sono spesso vite calpestate. Dovremmo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e agire di conseguenza. Dove il lavoro non è riconosciuto, dove la dignità della persona è offesa, lì dobbiamo rispondere con la denuncia e il rifiuto. Anche il «no, grazie!» è scelta di cultura. La Chiesa italiana ha dedicato al tema il Messaggio del Primo Maggio 2022 ed è intervenuta più volte a invocare un cambio di passo. Il cardinal Matteo Zuppi ha affermato che «è in gioco la nostra dignità».

È il momento di risvegliare le coscienze, facendo tesoro anche delle parole forti del Presidente Sergio Mattarella, per il quale le vittime sul lavoro sono un «oltraggio alla convivenza civile». Non si può mai dimenticare, infatti, che la vera ricchezza dell’economia e del lavoro sono le persone. Quando viene meno questa consapevolezza, l’uomo diviene mezzo per un profitto fine a se stesso. Le vittime e gli infortuni sono favoriti da zone grigie di trascuratezza e di cultura cinica del lavoro e dell’economia. Le chiamiamo «morti bianche», ma sono sempre più nere. Mentre la vita è a colori…

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