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Se serve, la scuola bocci. Le sconfitte insegnano...

Sempre più genitori si rivolgono al Tar a ‘tutela’ dei figli: la riflessione di Ferrari. Ecco perché può essere un atto educativo e didattico, sul percorso dell’autostima

Alberto Ferrari (Dirigente scolastico del liceo Aselli di Cremona)

05 Settembre 2023 - 05:25

Se serve, la scuola bocci. Le sconfitte insegnano...

Regolari come il caldo estivo, come da tradizione in questo periodo arrivano notizie di qualche genitore che non accetta la bocciatura del figlio e ricorre al Tar. Gli esiti positivi di questo tipo di ricorso sono abbastanza rari ed è anche per questo che quando avvengono fanno scalpore. Specie se, come in questo, sono casi di studenti che nella scuola media non sono stati ammessi alla classe successiva a causa di sei insufficienze. Va precisato che il Tribunale amministrativo regionale non ha promosso lo studente, ma, annullando la bocciatura, ha invitato il consiglio di classe a motivare meglio le proprie decisioni, eventualmente modificandole; in particolare, il Tar ha giudicato carenti soprattutto le azioni di recupero attivate dalla scuola.

Non posso ovviamente giudicare sentenze su situazioni specifiche; sono però fortunatamente lontani gli anni in cui la bocciatura a scuola era uno strumento di selezione, spesso per coloro che avevano meno strumenti culturali e venivano da condizioni disagiate. Nel pronunciamento del Tar — «La bocciatura deve essere l’eccezione» — sembrano risuonare le parole di ‘Lettera ad una professoressa’, il cui primo capitolo si intitolava ‘La scuola dell’obbligo non può bocciare’. Il contesto è però particolarmente differente: le percentuali di non ammissione nella scuola dell’obbligo degli anni ’70 erano a due cifre; oggi, invece, alla scuola media siamo intorno all’1%.

Forse il cammino per considerare la valutazione come strumento di crescita e non come classificazione fra bravi e meno bravi non è concluso. E tutti noi che lavoriamo nella scuola dobbiamo fare un ulteriore sforzo per comprendere la richiesta di senso presente negli adolescenti e che talvolta si nasconde dietro a svogliatezza o mancanza di motivazione. È indubbio, però, che si tende ben più di ieri ad aiutare, a sostenere i ragazzi nel loro percorso, a far comprendere che il voto negativo non è un giudizio sulla persona, ma vuole essere un’indicazione di percorso, forse talvolta percepita come severa, ma ugualmente indispensabile in ogni processo di crescita.

Sarebbe da comprendere se ha ragione il Tribunale amministrativo quando scrive che la scuola ha le sue responsabilità per non aver messo a disposizione sistemi di ausilio e di supporto per il recupero, oppure se le attività di recupero sono state organizzate dalla scuola, ma non sono state riportate nelle motivazioni della bocciatura. La bocciatura, infatti, oltre ad essere un atto educativo e didattico, ha anche una dimensione amministrativa. Ed è in questo senso che il Tar si pronuncia. Ma il ricorso al Tar ci dice anche della scarsa fiducia nei confronti della scuola da parte di queste famiglie. Qualche volta gli scontri tra scuola e famiglia si possono affrontare (e forse risolvere) parlandosi, trovando il tempo per incontrarsi, senza delegare al solo registro elettronico le informazioni sui figli, cogliendo insieme i segnali che arrivano dai ragazzi; ma la comunicazione, nell’epoca dei media così diffusi, è paradossalmente sempre più difficile.

Allora, la nostra missione deve essere quella di ricostruire insieme questa fiducia, che non deve e non può essere incrinata da qualche brutto voto, talvolta accettato più dai ragazzi che dai loro genitori. Così come le sconfitte piccole e grandi, nello sport come nella vita. Non è proteggendo e difendendo sistematicamente i nostri figli che li aiutiamo a crescere. È dunque il mondo adulto che dovrebbe interpellarsi su questi aspetti: davvero è educativo ottenere un diploma a qualsiasi prezzo? Davvero il pezzo di carta vale più della preparazione, come se la buona scuola fosse quella che ti regala la promozione? Senza parlare dei diplomifici sparsi in tutta Italia.

Morale: c’è una cultura che spinge a cercare le scuole più facili, perché così il figlio non soffre (ma, forse, è il genitore che non vuole soffrire). Eppure, nella mia visione, voler bene ai ragazzi significa anche avere fiducia in loro e credere che possono rialzarsi da qualche caduta. Perché se li aiutiamo sempre, o togliamo loro gli ostacoli che via via si trovano ad affrontare, non impareranno mai a farlo da soli. Ed è così che li si aiuta anche a far crescere l’autostima. Il cui sviluppo, di sicuro, viene ostacolato e non favorito da una promozione ottenuta al Tar.

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