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SANITA' IN PROVINCIA

Costi alti e attese lunghe: il 6,8% rinuncia a visite e prevenzione

Sono soprattutto anziani. Gli ordini dei medici e degli infermieri: «Investimenti o il sistema è a rischio»

Stefano Sagrestano

Email:

stefano.sagrestano@gmail.com

12 Agosto 2023 - 05:30

Sanità: costi alti e attese lunghe, quasi il 7% della popolazione lascia perdere

CREMONA - Gli anni della pandemia per fortuna sono ormai lontani, ma il numero di coloro che rinunciano alle cure sanitarie, in primis esami e visite preventive, è sempre molto alto.

In Lombardia il 6,8% della popolazione ha lasciato perdere, vuoi per le lunghe attese a cui si è sovente costretti nel pubblico, vuoi per motivi economici, in quanto non hanno i soldi per rivolgersi alla sanità privata convenzionata, dove, secondo la vulgata popolare che spesso corrisponde a verità, «il posto si trova subito».

Testimonianze di questo genere sono all’ordine del giorno anche nel Cremonese, nel Cremasco e nel Casalasco, dove le percentuali di rinunciatari sono sostanzialmente in linea con quelle regionali.

Certo la situazione è migliorata rispetto alle paure – più che comprensibili – degli anni pandemici 2020 e 2021, quando la gente non andava negli ospedali intasati da pazienti Covid anche per il timore contagio. Ma il problema della mancanza di prevenzione di massa rimane.

«Un cane che si morde la coda – sottolineano i vertici dell’ordine provinciale dei medici e di quello degli infermieri – meno visite programmate e meno esami necessari significano minor prevenzione, dunque a lungo termine più rischi di persone che si ammalano in maniera seria, con maggiori costi per la Sanità regionale e nazionale. Tutto ciò erode i fondi a disposizione per incrementare strutture e personale, l’unica soluzione possibile per risolvere il problema. Si tratta di un processo che richiederà anni e non si può più aspettare».

Il dato relativo ai rinunciatari 2022 è stato reso noto dall’Istituto nazionale di statistica, che ha passato in rassegna le regioni del Paese. La media nazionale si attesta al 7%, dunque la Lombardia e il Cremonese sono sostanzialmente in linea.

Ci sono notevoli differenze tra le regioni messe peggio e quelle che hanno meno cittadini che gettano la spugna. Nord e Sud sono rimescolati: in testa alla graduatoria c’è la Sardegna, dove ha rinunciato il 12,3% della popolazione, seguita dal 9,6% del Piemonte, mentre la regione con la percentuale più bassa è la Campania, dove ha rinunciato solo il 4,7% dei residenti, seguita dal Trentino-Alto Adige. Qui il 5,3% della popolazione decide di non effettuare visite e esami. 

Le lungaggini del settore pubblico e i costi di quello privato non sono ovviamente le uniche cause. Ogni potenziale paziente fa storia a sé. Subentrano anche fattori di tipo psicologico. Qualcuno parla ancora dell’onda lunga della pandemia, ma sembra la motivazione meno importante.

Tre anni fa, in tutta la Lombardia aveva rinunciato alle cure il 10% dei cittadini e nel 2021 si era addirittura saliti a una percentuale del 12,2%. Erano gli anni degli ospedali sotto stress per i ricoveri (prima) e per la campagna vaccinale (poi). Il terribile periodo del lockdown con centinaia di posti letto occupati dalle persone che avevano contratto il virus, le terapie intensive intasate e ovviamente decine di migliaia di esami e visite programmate che erano stati rinviati.

Non c’erano le strutture sanitarie libere e il personale da dedicare a queste prestazioni di routine, ma fondamentali per la tutela della salute pubblica, in quanto tutto si era concentrato nella lotta al Covid e nel cercare di salvare quante più vite possibile.

blocco

A saltare erano stati anche migliaia di interventi chirurgici, non quelli urgenti ovviamente. C’è voluto oltre un anno per recuperare, ma ancora il sistema non è tornato a pieno regime e secondo l’Istat non si è scesi ai livelli pre-Covid, visto che nel 2017-2018 aveva rinunciato il 5,4-5,6% della popolazione. Questo è dovuto anche al fatto che l’aumento importante dell’inflazione degli ultimi mesi ha eroso il potere di acquisto delle famiglie e dunque anche le opportunità di cura in strutture accreditate, pagando una visita medica per avere il responso in tempi rapidi. Sui bilanci difficili da far quadrare pesano parecchio le spese sanitarie. Chi magari prima sceglieva di rivolgersi al privato per tagliare autonomamente i tempi, ora fa molta più fatica e di conseguenza le attese per una visita specialistica nel pubblico si dilatano ulteriormente.

Dai medici e dagli infermieri si sono più volte susseguiti gli appelli alle istituzioni per un rapido cambio di rotta.

Cremona e la sua provincia, come il resto del Paese, sono destinati ad avere una popolazione sempre più anziana. Secondo i dati in possesso dei due ordini, oggi sono circa 22 milioni in Italia le persone con patologie cronica: 8,8 milioni con almeno una grave e 12,7 con due o più malattie croniche in tutte le fasi della vita. Il fenomeno si acuisce soprattutto nei Comuni sotto i 2.000 abitanti e nelle aree interne dove c’è la quota più elevata di cronici: quasi il 45%. E le prospettive non sono migliori: nel 2028 in Italia il numero di cronici salirà a 25 milioni e i multi-cronici a 14 milioni.

Nei prossimi anni Cremona avrà un nuovo ospedale efficiente e tecnologico che diventerà un modello per l’Italia, ma è evidente che l’assistenza e la prevenzione dovranno passare sempre più da servizi di prossimità, extraospedaliera ed estesa sul territorio.

L'ORDINE DEI MEDICI E DEGLI INFERMIERI

Per gli addetti ai lavori serve un netto cambio di passo, con maggiori investimenti nella sanità pubblica. Altrimenti sarà dura invertire la rotta.

«Abbiamo visto con il Covid quale è stata la fragilità del sistema sanitario lombardo – sottolinea Angelo Bonvissuto, segretario della Funzione pubblica della Uil – indirizzato da un ventennio verso il privato. Un sistema che si è dimostrato molto fragile nell’affrontare l’improvvisa emegenza. L’interruzione delle normali attività di diagnostica, cura e prevenzione delle malattie più importanti per un anno e mezzo, ha portato ad accumulare un ritardo che non si è ancora recuperato. C’è ancora sofferenza, la Regione ha dato mandato alle Asst di produrre più attività del 2019, ma il numero di operatori dipendenti è rimasto sostanzialmente simile. Con il sovraccarico del personale è evidente che per esami e visite nel pubblico ci sia poco posto. Rivolgendosi al privato il cittadino va incontro a costi enormi e l’alto numero di rinunce non potrà far altro che produrre risultati negativi negli anni. Innanzitutto in termini di qualità della vita delle persone, in seconda battuta di costi per il sistema. Un tumore da curare in fase avanzata non è certo analogo a quello scoperto precocemente».

Enrico Marsella, presidente dell’ordine provinciale degli infermieri, aggiunge: «La rinuncia alla prevenzione è molto negativa. Il timore è che tutto si riverberi sullo stato di salute generale della popolazione. Servirebbero più risorse sia a livello di personale, sia di strutture e strumentazioni. La lezione della pandemia è stata chiara. La Sanità non è un costo ma un investimento, servono professionisti, le gambe del servizio. Queste sono le carenze che poi a livello di sistema generano la rinuncia alle prestazioni».

E a farne le spese sono sempre i più fragili.

«Faccio due esempi – continua – pensiamo alla mappatura cutanea dei nei o a un semplice esame della vista. Ad oggi si parla di mesi i attesa. Ci sono screening di massa che sono gratuiti, come ricerca sangue occulto, pap test o mammografie, o altre campagne nazionali di prevenzione che aiutano, ma moltissimi esami rimangono fuori e sono soggetti a questo fenomeno della rinuncia. Il detto ‘Prima cosa la salute’, per tanti non è più così: la salute non ha prezzo, ma la Sanità costa, per questo bisogna investirci. Anche in chiave di riscontri per l’economia nel suo complesso. Se ho una popolazione sana l’economia viaggia, in caso contrario ci sono pesanti ripercussioni, ricordiamo la pandemia».

Per Gianfranco Lima, presidente dell’Ordine dei medici, ad andarci di mezzo sono soprattutto gli anziani.
«Questo quasi sette per cento di rinunciatari sono soprattutto anziani con una pensione bassa. Le difficoltà insorgono per via di un sistema sanitario nazionale che in passato è stato sempre più contratto e dunque ha portato a un incremento della medicina privata accreditata o totalmente privata. Il tutto peggiorato negli anni del Covid quando questi numeri erano esplosi anche per gli slittamenti di visite e esami programmati».

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