Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

CREMONA

Pugno in faccia al primario, padre condannato a 1 anno di reclusione e 20mila euro di risarcimento

Quattro anni fa papà Antonio perse le staffe alla notizia della figlia morta prima di nascere, scatenando la sua violenza contro il capo di Ginecologia Riccardi

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

11 Maggio 2023 - 18:49

Pugno in faccia al primario, padre condannato a 1 anno di reclusione e 15mila euro di risarcimento

CREMONA - La mattina del 3 gennaio 2019, reagì malissimo alla tragica notizia che Marta, un batuffolo di 2 chili e ottocento grammi, era morta asfissiata dal cordone ombelicale nel pancione della sua mamma Nicoletta, al termine della gravidanza. Al Pronto soccorso ginecologico dell’ospedale Maggiore, papà Antonio perse le staffe, urlò, tirò un calcio a uno sgabello, strappò la tastiera di un computer, terrorizzò una ginecologa di guardia e una ostetrica. E diede un pugno al primario Aldo Riccardi: 7 giorni di prognosi per trauma facciale e occhiali da vista rotti.


Papà Antonio, 42 anni, camionista ora senza lavoro, è stato condannato a 1 anno di reclusione (pena sospesa) per le lesioni cagionate al primario, per violenza privata, danneggiamento e per aver sottratto la cartella clinica. Benché sia incensurato, niente generiche, perché «nei luoghi pubblici bisogna mantenere il controllo», ha detto il giudice, che lo ha inoltre condannato a risarcire con 15 mila euro il capo di Ginecologia, parte civile attraverso l’avvocato Luca Curatti, e con 5 mila il danno di immagine arrecato all’Ordine dei medici di Pavia, al quale Riccardi, 68 anni, natali a San Damiano al Colle, nel Pavese, è iscritto dal 1981.

Il primario Aldo Riccardi durante l’attesa della sentenza 


Un inedito in Lombardia, la costituzione di parte civile dell’Ordine. «Siamo soddisfatti, è un precedente importante per l’Ordine che si occupa della tutela e della libertà della professione medica, tutela il prestigio e l’onorabilità della categoria e dell’Ordine stesso», ha commentato l’avvocato Massimiliano Caffetti. «Sono contento di aver fatto da apripista per i giovani medici - ha affermato Riccardi -. Sono, purtroppo, soddisfatto. Avrei, purtroppo, preferito non cadere in questa storia allucinante. Il mio scopo era dimostrare che un medico lo puoi contestare, ma non sfiorare e se lo fai, è giusto che tu paghi in modo che questa malsana abitudine abbia a cessare il prima possibile».


Quattro anni fa, l’ostetrica chiamò il primario in quel momento nel suo studio. Papà Antonio era furioso. «Mentre stavo raggiungendo il pronto soccorso ginecologico - ha ricordato il camice bianco - ho sentito delle urla. Quando sono arrivato mi sono presentato, ho chiesto cosa era successo. Neanche il tempo di e… improvvisamente, lui mi si è parato davanti e mi ha tirato un pugno in faccia, facendomi cadere gli occhiali. Non ho reagito. Il mio unico pensiero era di mettere in sicurezza il personale, che era terrorizzato, ci siamo rifugiati nel reparto, ho ordinato di chiudere le porte, anche per tutelare le pazienti. E di chiamare la polizia». Arrivarono quattro poliziotti. Due di loro lo accompagnarono nel cortile dell’ospedale e lo calmarono. «Io ho perso la ragione quel munito e mezzo. Ho visto buio, mi sono salite tutte le emozioni», aveva detto al processo, scusandosi per «lo schiaffo» dato al primario.

Il legale Massimiliano Caffetti

«Questa è una brutta storia in ogni senso, da qualunque angolo la si analizzi. Una brutta storia che avremmo potuto risolvere anche con una lettera di scuse e un risarcimento. Avremmo potuto gestire questa vicenda su un altro livello», ha premesso l’avvocato di parte civile Curatti, che di premesse ne ha fatte due. L’altra: «Ora tolgo la parte mediatica, non ragiono di bollettini di guerra, non parlo di presidio istituzionale, di tutela dei beni della collettività e di che cosa hanno fatto i medici durante il Covid, gli eroi, è noto a tutti». Invitato dal giudice ad «attenersi al caso», l’avvocato di parte civile ha ripercorso le testimonianze riversate nei verbali del processo: dall’ostetrica Carlotta Generali alla ginecologa Mariangela Rampino, le testi oculari.

L'avvocato Luca Curatti


«Il 3 gennaio tutto nasce dalla chiamata a Riccardi dell’ostetrica che con voce tremante gli dice di andare al Pronto soccorso per un fatto non gestibile», ha proseguito l’avvocato Curatti. «Eravamo tutte spaventate», aveva detto l’ostetrica. Al processo, il primario aveva riferito che ostetrica e ginecologa «erano pallide e impaurite». «Dopo aver subito l’aggressione, il dottor Riccardi si rifugia, e ‘rifugia’ è il termine esatto, nel reparto con l’ostetrica e la ginecologa — ha proseguito il legale di parte civile —. Ha detto alle mamme di non uscire, perché qualcuno batteva con i pugni e urlava ‘Vi ammazzo, vi ammazzo’. Il signor Antonio aveva già strappato la tastiera del computer e scagliato uno sgabello. Alla porta urlava: ‘Siete degli assassini, siete degli assassini’, ‘Ti uccido, ti uccido’. È una brutta storia.

«Ricevuta la notizia, ho avuto un black-out. Ho colpito il medico, so di aver sbagliato. Mi sono già scusato e me ne dispiaccio ancora, ma non commento la sentenza». Papà Antonio oggi non era in aula. Al processo aveva ammesso di aver rifilato «uno schiaffo» al primario. E spiegato: «Io ho perso la ragione per quel minuto e mezzo. Ho visto il buio. Mi sono salite tutte le emozioni», ma è sul ‘dopo’ che, a condanna incassata, vuole fare chiarezza. «Io continuavo a picchiare la porta del reparto, ma non c’era alcun intento aggressivo. Sicuramente ero agitato. Ho tentato di sollecitare i medici per aiutare mia moglie che da mezz’ora era stata lasciata sola in una stanzetta e senza nessuna assistenza, in preda alle contrazioni e psicologicamente distrutta come si può immaginare».

L'avvocato Marcello Lattari


Nella sua arringa, l’avvocato Marcello Lattari è partito dal reato contestato di violenza privata. Nel capo di imputazione è scritto che papà Antonio aveva «costretto a rifugiarsi in reparto» primario, ginecologa e ostetrica. «Al processo non è emerso alcun inseguimento». Ha poi contestualizzato il fatto, «lo schiaffo» al primario e «le quattro manate sulla porta del reparto: un atteggiamento aggressivo, villano. Ma questo signore aveva appena ricevuto la notizia della morte della sua bambina che fino a mezz’ora prima era viva. Sfido chiunque a mantenere la lucidità. Non giustifico, ma il fatto va contestualizzato. La moglie aveva il feto morto in grembo, aveva le contrazioni ed era stata lasciata sola in una stanzetta. Suo marito picchiava la porta: ‘Venite da mia moglie’. Una richiesta alla quale il personale è rimasto sordo».

Sono arrivati quattro poliziotti. Due hanno portato in cortile papà Antonio, poi lo hanno riaccompagnato su. «E per un’altra mezz’ora, la moglie non ha avuto assistenza». Sulla soppressione della cartella clinica, Lattari ha spiegato che «la cartella clinica è un documento acquisibile. Il mio assistito si è fatto un autonomo accesso agli atti, ma poi ha restituito gli atti». Il difensore aveva chiesto di concedere a papà Antonio anche l’attenuante «dell’aver agito in stato d’ira, determinato da un fatto ingiusto altrui». Ora l’avvocato si riserva di leggere la motivazione della sentenza per valutare il ricorso in Appello.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400