L'ANALISI
06 Maggio 2023 - 10:17
CREMONA - Per il professor Giancarlo Oliva «non era una gravidanza ad alto rischio, ma a basso rischio». Per il per il professor Vincenzo Lorenzo Pascali «era una gravidanza a basso, bassissimo rischio». Oliva, specialista in Ginecologia e Ostetricia al Policlinico Gemelli di Roma, e Pascali, professore ordinario di Medicina Legale presso il Gemelli, sono i consulenti tecnici messi in campo dall’avvocato Diego Munafò, difensore di Alessandra Scarpa, la ginecologa accusata dell’omicidio colposo di Marta, morta asfissiata nel pancione della sua mamma Nicoletta. Una tragedia accaduta il 3 gennaio del 2019 all’ospedale Maggiore, quando tutto precipitò nell’arco di quattro, cinque minuti. Non c’era più liquido amniotico, il cordone ombelicale si attorcigliò attorno al collo: fece più di un giro. Era lungo un metro, una rarità: di solito, la lunghezza va dai 50 ad un massimo di 80 centimetri. Il 31 dicembre del 2018, mamma Nicoletta si presentò in ospedale. Sino a quel giorno era stata seguita al Consultorio: una gravidanza normale. L’ostetrica le fece il tracciato: il cuoricino di Marta batteva. Dall’ecografia risultò che il liquido amniotico era di poco sotto i 5 centimetri. Nicoletta fu mandata a casa con la raccomandazione di riposarsi e di bere molta acqua.
L’1 gennaio, tornò in reparto per ulteriori accertamenti. La piccola Marta era viva e lei fu rimandata di nuovo a casa. «La mattina del 3 gennaio ho avuto le contrazioni, ho rotto le acque sotto la doccia», ha già raccontato mamma Nicoletta al processo. La corsa in ospedale. Al Pronto soccorso arrivò alle 8,30. Alle 8.50 il battito della piccola c’era. Alle 9,20 il verdetto spietato dell’ecografia: il cuoricino non si sentiva più. A Nicoletta fu fatto il cesareo. Il valore del liquido amniotico avrebbe dovuto far scattare un campanello di allarme? Se la mamma fosse stata monitorata costantemente o addirittura ricoverata, anziché mandarla a casa, la bimba si sarebbe salvata? Questo è stato il terreno di scontro, ieri, tra i consulenti tecnici della difesa e quelli della parte civile: il medico legale Salvatore Pentivolpe e il ginecologo Giancarlo Garuti messi in campo dall’avvocato Marcello Lattari, legale dei genitori della piccola Marta.
Garuti ha parlato di «riduzione abnorme del liquido amniotico sia il 31 dicembre sia l’1 gennaio; in via prudenziale avrei fatto ulteriori accertamenti o, quantomeno, una osservazione più intensiva del caso. Un monitoraggio costante o un ricovero avrebbe, con elevatissime probabilità, individuato una condizione sfavorevole della vitalità della bambina». Nel pancione della sua mamma, la piccola Marta era un fagottino di 2,8 chilogrammi.
Secondi Garuti, «il feto non cresceva, perché la mamma aveva il diabete gestionale: non c’è la terapia farmacologica, ma la signora avrebbe dovuto essere costantemente controllata e monitorata per tutto il periodo di gravidanza». Il professor Oliva lo ha smentito: «È esattamente il contrario. In caso di diabete gestionale, il feto acquista più peso rapidamente». Oliva ha parlato di «evento infausto, purtroppo non insolito». Ha citato i dati delle morti intrauterine. «Nei Paesi occidentali, una morte ogni 200-300 parti». L’Italia si colloca in una zona di 4,1 per mille. «Purtroppo, questi eventi possono accadere per una serie di circostanze. In Italia, il 50% delle morti intrauterine sono sine causa (senza causa). Sono morti imprevedibili, accadono improvvisamente. come è accaduto in questo caso». Per Pascali, «l’ospedalizzazione non avrebbe garantito l’evitare del fatto». La sentenza è attesa per il 27 ottobre prossimo.
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