L'ANALISI
30 Settembre 2022 - 17:12
Un controllo ecografico e il tribunale di Cremona
CREMONA - Ha premesso: «Non ho un ricordo diretto della vicenda». La ginecologa Alessandra Scarpa non lo ha, perché «sulla gravidanza della signora non c’era stato alcun segnale di allarme». Né il 31 dicembre del 2018, quando rimandò a casa la paziente, né il giorno dopo.
«In entrambe le valutazioni non sono emerse situazioni allarmanti. In entrambe le visite, i tracciati erano rassicuranti. Il battito della bimba è sempre andato bene». Fino al 3 gennaio, quando il battito non c’era più. La piccola Marta è morta nel pancione della sua mamma Nicoletta «per sofferenza fetale iperacuta».
Non c’era più liquido amniotico, il cordone ombelicale l’ha asfissiata. «Quattro, cinque minuti di contrazioni sono stati fatali, hanno purtroppo portato alla morte imprevedibile della bimba», si è difesa oggi la ginecologa Scarpa (all’epoca in servizio all’ospedale Maggiore) nel processo per omicidio colposo della piccola, nel quale mamma Nicoletta e papà Antonio si sono costituiti parte civile con l’avvocato Marcello Lattari. La Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il gip aveva ordinato al pm l’imputazione.
Se in quei giorni, anziché mandarla casa, mamma Nicoletta fosse stata ricoverata e tenuta sotto monitoraggio, la bimba si sarebbe salvata? «Non c’erano i presupposti per il ricovero», ha insistito la ginecologa.
Nella loro relazione, i consulenti della Procura hanno parlato di «inadeguatezza, essenzialmente qualificabile in termini di imprudenza, nell’aver omesso una approfondita valutazione del caso a fronte di inequivoci segnali di allarme, di dati anamnestici che dovevano essere adeguatamente ponderati (alterazioni di metabolismo glucidico nell’ultimo mese, seppure di modesta entità) e di elementi di dubbio circa il benessere fetale che potevano essere intercettati da un adeguato esame obiettivo (ridotto accrescimento fetale). Una valutazione più attenta in data 31 dicembre 2018 e in data 1 gennaio 2019 avrebbe potuto e dovuto portare al ricovero della signora ed in tale evenienza vi erano buone probabilità di evitare il decesso del feto, anche se, alla luce della documentata causa di morte del feto non possiamo perentoriamente escludere la possibilità, anche in regime di ricovero della signora e di monitoraggio dello stesso, del verificarsi di una occlusione oltremodo repentina dei vasi del cordone ombelicale con conseguente sofferenza iperacuta del feto, anche tale da rendere conto del decesso dello stesso nonostante un tempestivo intervento dei sanitari».
«Non c’erano segnali di allarme», ha rimarcato la ginecologa esaminata dal pm Vitina Pinto e dal suo difensore Diego Munafò.
Il 31 dicembre mamma Nicoletta si presentò in ospedale. Sino a quel giorno era stata seguita al Consultorio.
«Era una gravidanza fisiologica, così è stata gestita. Io ero di turno. Ho visto la signora la prima volta il 31 dicembre. Era a termine. L’ostetrica le ha fatto il tracciato. E nel primo tracciato c’è stata una contrazione, ma il battito della bimba c’era. Alla signora è stata fatta l’ecografia per valutare il liquido amniotico, che era di poco inferiore rispetto alla norma: era di poco sotto i 5 centimetri. Se avevo avuto contezza della situazione glicemica? Sì, ma non era un parametro grave. Il peso del feto? Non si rivaluta se non ci sono indicazioni ben precise. Il 31 dicembre, la signora aveva portato tutti gli esami che aveva fatto al Consultorio. La crescita della bimba era armonica. Per precauzione, ho detto alla paziente di tornare il giorno dopo per rivalutarla. L’ho mandata a casa con le indicazioni di riposarsi e di idratarsi, di bere 3,5 litri d’acqua e questo perché a termine gravidanza, può diminuire anche l’idratazione». La ginecologa ha precisato che «il liquido amniotico non è una entità statica».
L’indomani, mamma Nicoletta tornò in reparto. Di turno c’è ancora la ginecologa Scarpa. «Anche il secondo tracciato era rassicurante, il battito della bimba c’era». Mamma Nicoletta fu rimandata a casa.
All’udienza del 4 marzo scorso, mamma Nicoletta in aula aveva raccontato: «La mattina del 3 gennaio ho le contrazioni». Sotto la doccia aveva rotto le acque. «Io e mio marito ci prepariamo velocemente, la valigia è già pronta. Durante il tragitto sento la bambina. Intorno alle 8-8,30 faccio l’accettazione al Pronto Soccorso. Mi mandano al 7 piano e sento la bambina».
In reparto, «mi mettono in una stanzetta, l’ostetrica fa il monitoraggio. Vedo che è titubante. ‘Sente la bambina muoversi?’. In quel momento non la sentivo. L’ostetrica va a chiamare la ginecologa. Mi portano in un’altra stanza, mi fanno l’eco. Percepisco che c’è qualcosa che non va. Un’altra dottoressa mi dice che non c’è più il battito. Dopo l’eco mi mettono in una stanza adiacente al reparto. Piangevo disperata».
La piccola Marta era morta. «Sono rimasta lì, sola 30-40 minuti, un tempo che mi è sembrato infinito. Sola, dopo che mi hanno detto che la bimba era morta. Ero disperata da una parte, dall’altra avevo i dolori», il drammatico racconto di mamma Nicoletta.
«La signora aveva rotto le acque a casa, sotto la doccia — ha proseguito la ginecologa —. Ecco perché non aveva più liquido amniotico, ha avuto una sofferenza. Quei 4-5 minuti sono stati fatali, purtroppo. Noi non abbiamo diagnostiche per vedere i giri del cordone ombelicale attorno al collo. Purtroppo, è un evento non prevedibile».
Il 3 gennaio, mamma Nicoletta in lacrime partorì la sua bimba morta. Un parto cesareo. Il 5 maggio prossimo saranno sentiti i consulenti tecnici della parte civile e della difesa.
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