L'ANALISI
28 Marzo 2023 - 18:39
Il tribunale di Cremona
CREMONA - Sieropositivo dal 2010, non ha mai avuto il coraggio di rivelarlo alla compagna nei quattro anni di convivenza. E l’ha infettata. «Avevo paura di perderti», la scusa. Otto anni di reclusione: è la condanna inflitta oggi all’uomo, 51 anni, operaio precario, per lesioni volontarie gravissime. Per aver trasmesso all’ex convivente il virus dell’Hiv, da cui è derivata una «malattia insanabile». Il Tribunale ha inoltre condannato l’operaio a risarcire alla vittima, parte civile, il danno: intanto una provvisionale di 100 mila euro. La sentenza del presidente Francesco Beraglia (giudici a latere Chiara Tagliaferri ed Elena Bolduri) è arrivata alle 15.30 dopo sedici minuti di camera di consiglio e tre udienze. La motivazione sarà depositata entro 45 giorni. «Giustizia è stata fatta», ha detto la vittima, che da tre si sottopone a terapia ed è in cura dallo psicologo. Da allora, non ha più allacciato una relazione sentimentale.
La sera del 20 febbraio 2020, lei scoprì - per caso - che il compagno «di cui ero innamorata» e con il quale conviveva da quattro anni, aveva l’Hiv. Andò così. Lui finì con l’auto fuori strada. Lei si precipitò, salì sull’ambulanza, al Pronto Soccorso ebbe tra le mani il referto clinico. Lui aveva dichiarato di essere sieropositivo da più di dieci anni. Fu uno shock. la compagna si sottopose agli esami. Dovette anche rinviarli a causa della pandemia. A maggio, la doccia fredda: lui l’aveva infettata e lei, disperata. troncò la relazione. Al processo è emerso che dopo aver scoperto di avere l’Hiv, nei primi anni l’uomo si era sottoposto alla terapia, azzerando la carica virale, ma dall’agosto del 2019 non si curò più, diventando contagioso. E’ inoltre emerso che in quei quattro anni di convivenza, l’operaio aveva frequentato partner più o meno occasionali: uomini e donne, tutti risparmiati dal virus.
«Pur di mantenere in vita una relazione sentimentale con una persona con cui stava bene, l’imputato ha deciso scientemente di tenerla all’oscuro. Ha anteposto il suo benessere psicologico alla salute dell’ex compagna. Ha dimostrato un assoluto disinteresse dell’altrui salute, della salute della compagna», aveva sottolineato il pm Alessio Dinoi. «Chiedo di condannare l’imputato a 6 anni di reclusione. Non si merita la concessione delle generiche. Non basta essere incensurati. Io mi sarei aspettato che venisse in aula, che si sottoponesse all’esame». Non si è mai presentato. Per il pm ciò «è indicativo di una personalità che non dà una spiegazione della propria condotta».
Pochi i 6 anni chiesti dal pm, per l’avvocato di parte civile, Alessandro Vezzoni, il quale, articolo 583 del codice penale alla mano, ha ricordato che «se dal fatto deriva una malattia certamente o probabilmente insanabile, si applica la reclusione da sei a dodici anni». Da qui, la sua richiesta di «tenerne conto nel calcolo della pena». Vezzoni ha inanellato le sofferenze patite dalla sua assistita, «la cui vita, da quel febbraio del 2020, è radicalmente cambiata», perché «per il resto della sua vita deve assumere farmaci, deve sottoporsi agli esami e alle terapie anche psicologiche». Non solo. «La mia assistita, ha anche scoperto che lui l’aveva tradita sia con uomini sia con donne». L’avvocato ha parlato della «paura» della vittima «di stare in mezzo alla gente, di far del male a persone a cui vuole bene».
L’imputato non era in aula. «Siamo tutti consapevoli della gravità della patologia, che era considerata la peste nera e non è casuale lo stato d’animo della signora: massimo rispetto, ma ritengo che altrettanto rispetto lo si debba nei confronti di chi, per l’accusa, è un untore», ha ‘arringato’ l’avvocato Marilena Gigliotti. «Il mio assistito ha mantenuto un riserbo anche giustificabile: solo calandosi nei panni, si possono capire certi meccanismi umani: la vergogna. Fino all’agosto del 2019, ha assunto la terapia. L’ultimo referto dice che la sua carica virale si era azzerata. Non vi è alcuna evidenza scientifica che dimostri quale fosse la carica virale da agosto del 2019 a maggio del 2020». Agli atti del processo ci sono messaggi che l’operaio inviò alla compagna: «...per paura di perderti non ho detto niente a nessuno, ripeto, mi spiace tanto, hai ragione ad odiarmi. Ciao».
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