L'ANALISI
18 Marzo 2023 - 15:02
Crescono oltre quota due milioni le dimissioni dal lavoro in Italia. Il fenomeno, esploso dopo il picco della pandemia, continua a registrare numeri mai visti prima nel nostro Paese. Numeri che viaggiano alla velocità media di oltre 180mila al mese nel 2022. Oltre mezzo milione ogni tre mesi. Le motivazioni ovviamente sono diverse, ma spesso alla base della decisione di lasciare il proprio posto di lavoro c'è la spinta a cercare opportunità professionali e salariali migliori o il desiderio di un nuovo equilibrio tra vita privata e lavoro.
Nel 2022 le dimissioni registrate, in base ai dati sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, sono quasi 2 milioni 200mila. Un numero in aumento del 13,8% rispetto al 2021, quando in totale erano state 1 milione 930mila. Questo fenomeno continua a coinvolgere in misura maggiore gli uomini rispetto alle donne, che più spesso devono già fare i conti con le difficoltà a trovare un impiego e a conciliare famiglia e lavoro.
È da questa situazione - al limite dell’incredibile - ed è da questi dati - sempre più eclatanti - che si deve partire per cercare di dare una risposta al filo rosso che tiene insieme la storia di copertina di questo numero di Mondo Business: ‘Felici al lavoro è possibile?’. Anticipo la risposta alla quale si arriva dopo la lettura dei servizi e delle interviste della cover story: sì! Essere felici al lavoro non è facile, ma si può. Le condizioni affinché questa ‘congiunzione astrale’ si concretizzi non sono agevoli ma l’esperienza maturata da alcune aziende - che Mondo Business puntualmente racconta in questo numero di marzo - sono la prova che il futuro è qui e ora, che la nuova frontiera è cominciata.
Agli under 35 piace il lavoro di squadra, il sentirsi dentro il progetto, protagonisti di una storia comune. Ma non solo: cercano il posto di lavoro che ti fa crescere, dove la professionalità e il merito vengono considerati e valorizzati, ma anche dove il rapporto umano ha un ruolo importante e le giuste esigenze della vita privata vengano tenute in conto.
Ma la realtà non va negata. Negli ultimi anni le cose sono cambiate, talvolta gli scenari appaiono addirittura ribaltati. Dice bene il vicepresidente della Provincia di Cremona Giovanni Gagliardi quando afferma che «se prima era il datore di lavoro che diceva ‘ti faccio sapere’, oggi è il lavoratore a pronunciare queste parole».
Una provocazione? La realtà? Probabilmente tutte e due le cose insieme. Le dinamiche dell’incrocio tra domanda e offerta sono mutate: se prima erano le aziende a guidare il gioco, ora sempre più spesso sono i candidati al posto di lavoro ad elencare i ‘desiderata’ da soddisfare per accettare una proposta di impiego. E - forse un po’ a sorpresa - prima ancora dell’aspetto economico l’attenzione viene spostata sulla possibilità di conciliare i tempi della vita privata e di lavoro.
Questa è la novità vera dell’era post-Covid. Orari e turni possono essere un freno, il weekend al lavoro è ancora un nodo da sciogliere anche se - e non da oggi - c’è tutto un mondo per il quale il sabato e la domenica sono come il lunedì e il martedì. Giorni di lavoro come gli altri.
Il tema è molto vasto e nel dibattito a pieno titolo si inserisce la questione della settimana corta di lavoro dal lunedì al giovedì. All’estero sono già avanti: nel Regno Unito un esperimento che ha coinvolto oltre sessanta aziende e circa tremila lavoratori si è chiuso con risultati clamorosi: lavoratori entusiasti e management aziendali convinti della bontà della novità.
In Italia siamo indietro: qualche timida sperimentazione è cominciata (banche e imprese di servizi) ma già risulta chiaro che l’orario ridotto rischia di diventare un lusso solo per grandi aziende. Trovare un equilibrio, auspicato anche dai sindacati, non sarà facile.
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