L'ANALISI
CREMONA
15 Marzo 2023 - 16:44
CREMONA - Nel dare il benvenuto ad Anahita Zamani da parte dell’amministrazione comunale e del sindaco, Gianluca Galimberti, l’assessore Rosita Viola ha definito «molto importante», l’iniziativa della Camera Penale. «Continua nella nostra città un approfondimento sulle condizioni delle donne non solo in Iran. Sarà una occasione offerta alla città di conoscere e approfondire quel grande Paese che è l’Iran».
«L’iniziativa è stata voluta così fortemente della Camera Penale della Lombardia Orientale, di cui fa parte la sezione di Cremona, da organizzare una serie di eventi che si terranno nelle varie sezioni. Ha spiegato Micol Parati presidente della Camera Penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’. Abbiamo iniziato la settimana scorsa con l’incontro a Brescia, la settimana prossima ci sarà l’incontro a Mantova e poi a Bergamo. La Camera Penale della Lombardia Orientale ha voluto organizzare questi eventi proprio perché è fondamentale per tutti noi conoscere e condividere la lotta e la rivoluzione che in questo momento c’è in Iran. Non possiamo accettare la violazioni dei diritto umani. Dobbiamo prenderne coscienza e condividere ciò che la popolazione sta cercando di fare. Abbiamo imparato, purtroppo, che le decisioni di persone dall’altra parte del mondo hanno una influenza anche negativa e nefasta sulla nostra vita. Il Covid è l’esempio più lampante. E, quindi, non possiamo più far finta che non ci interessi che quello che succede in un Paese più o meno vicino a noi. È necessario conoscere e condividere con la popolazione iraniana la lotta per far valere i diritto umani, perché la lesione di un diritto in un Paese è la lesione dei nostri diritti».
Annamaria Caporali è portavoce di Amnesty International a Cremona: «Amnesty International – ha evidenziato - manda i suoi osservatori a fare ricerca sul territorio e denuncia tutte le violazioni dei diritti umani. Questo è il lavoro che fa da più di 60 anni. Il gruppo di Cremona è presente in città da quasi 12 anni e cerca di svolgere attività di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini. Stiamo lavorando con i ragazzi delle scuole superiori , organizziamo qualche evento. Ad ottobre siamo andati in piazza per l’Iran con lo slogan ‘Donna, vita, libertà’».
«Colpisce molto che questa rivolta sia diventata la rivolta di tutti, non solo delle ragazze, ma dei loro padri e fratelli, mariti – ha aggiunto Caporali -. E colpisce molto, perché in Iran non è la prima volta. Ci sono ancora molti detenuti in carcere dalla rivolta del 2018 causata dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dalla disoccupazione, dalla grande corruzione che c’è ancora in questo Paese, dove il reato di cui vengono accusate queste persone è ‘inimicizia contro Dio’. Si può venire condannati frequentemente a morte o all’ergastolo o a pene che sono decine di anni».
E ogni condanna è accompagnata «dalla tortura, dalla percossa, dall’abuso e da altre manifestazioni di crudeltà dell’uomo nei confronti dell’uomo. Esecuzioni capitali sono già state eseguite. Ragazzi di 23-25 anni impiccati al braccio di una gru, perché le esecuzioni devono essere esemplari, devono far capire chi è chi detiene il potere, la forza. Il togliersi il velo non è soltanto la rivolta nei confronto di una norma di tipo religioso , ma è una rivolta contro una struttura sociale, una patriarcato, contro un potere amministrato senza nessun rispetto nei confronti delle persone».
Nata a Teheran 29 anni fa, laurea al Politecnico, designer nautico, Anahita Zamani è portavoce in Italia della rivoluzione dei diritti violati in Iran. Anahita ha vissuto a Cremona, ora vive e lavora Bergamo in una azienda dove si costruiscono barche di competizione: dalla Coppa America a Luna Rossa. Ospite d’onore alla serata organizzata dalla Camera Penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’, ha raccontato la rivoluzione delle donne, dialogando con Francesca Morandi, giornalista de La Provincia. Una protesta che parte da lontano.
«È cominciata subito dopo la rivoluzione islamica, 43 anni fa. La maggior parte del popolo ha fatto la rivoluzione, perché erano state fatte al popolo promesse non mantenute. Quando hanno messo come regola di coprirsi il capo, era l’8 marzo. Ci sono bellissime fotografie delle proteste delle donne con e senza il hijab dunque credenti e non credenti».
Nel 2009, all’età di 17 anni, studentessa liceale, sei scesa in piazza a protestare contro i brogli elettorali.
«Eravamo tutti arrabbiati, anche io che non avevo votato. Lo slogan era ‘Dov’è il mio voto’, Eravamo tutti certi che la maggioranza non aveva votato il presidente Mahmud Ahmadinejad, scelto, invece, dall’Ayatollah supremo, il vero dittatore».
Le famiglie in Iran come sono cambiate?
«Dieci anni fa, nessuna delle ragazze della famiglia portava il fidanzato in casa per queste regole rigide del governo, Piano piano, le famiglie si sono aperte. Una mia cugina ha cominciato a convivere con il suo fidanzato, una cosa accettata da tutta la famiglia. Le feste sono private dentro le case. Non ci sono discoteche, non ci sono i bar. Prima, le famiglie più religiose dicevano di non bere alcol, poi hanno piano piano accettato che alcuni membri della famiglia possano divertirsi in questo modo e si festeggia tutti insieme».
Si fa tutto di nascosto.
«Esatto».
Torniamo alla rivoluzione in atto. Il bazar, i commercianti, si è schierato con la vostra protesta. Che cosa significa? Si va oltre la rivoluzione delle donne?
«Assolutamente sì. Questo è un momento che ci aspettavamo da molto tempo. Nel 2009, dopo qualche mese erano riusciti a chiudere le persone ancora in casa, come se avessero sparso cenere su tutto il Paese. Sicuramente, tanti come me e e come le persone della mia famiglia avevano paura di morire, perché avevano cominciato a sparare per le strade. Allora, ci siamo detti: ‘Okay continuiamo a portare avanti la nostra vita nascosta’».
Stavolta?
«Stavolta, i giovani che hanno cominciato queste proteste sono molto coraggiosi, non hanno paura di morire. All’inizio, quando attraverso i social media abbiamo visto persone che andavano per strada, abbiamo sentito i ragazzi che dicevano: ‘Okay, noi moriamo, però almeno l’anno prossimo regaliamo un Paese libero al popolo intero’. Hanno una mentalità molto forte. Questo è il motivo per cui anche i più grandi hanno iniziato a protestare».
Una protesta trasversale.
«I commercianti, i lavoratori hanno fatto sciopero e continuano a farlo. Ovviamente non lo si può fare tutti i giorni, perché la gente deve anche mangiare, vivere. Nel 2011, quando sono venuta in Italia, 3 euri iraniani valevano un euro. Adesso in Iran devono spendere venti volte in più. Il costo della vita è altissimo, ma gli stipendi sono sempre gli stessi. Questo porta mole persone in strada. Questo è un regime che se ne deve andate».
Si dice che adesso vi sia una sorta di tregua, forse perché vediamo meno proteste per strada?
«All’inizio, le strade erano piene tutti i giorni, però le persone che protestano sono sempre le stesse: perdono la forza, si prendono il tempo per recuperare. Adesso si decide di fare tutti la protesta e o lo sciopero in determinati giorni. Non è più un’abitudine tornare a casa e uscire subito per protestare».
Ci sono stati i casi di avvelenamento delle studentesse in 37 province su 50, una evidente ritorsione per quello che sta accadendo. Il regime sta dando una motivazione falsa.
«La mia opinione è che il governo in tutti i modi cerca di farci vedere che ci può fare male. In alcuni media dicono che il regime iraniano non vuole che le ragazze vadano a scuola. Non c’entra nulla. È solo un allarme».
Un avvertimento.
«Si: ‘State attenti, se continuate, vi facciamo vedere la nostra forza’».
Hai mantenuto contatti con le tue amiche. Che cosa ti raccontano?
«Dall’inizio della protesta hanno tolto l’accesso a Internet. Quando riusciamo a parlarci, non parliamo della rivoluzione, perché c’è sempre la possibilità che ti spiino. I video che però riceviamo da chi riesce a filmare e raccontare quello che vive è sicuramente una rivoluzione nelle vene di tutto il Paese, non solo delle città più grandi e delle persone non religiose. Il fattore economico ha coinvolto tutti. Volevo aggiungere una cosa sui social».
Prego.
«Grazie ai social, conosciamo le storie di chi ha perso la vita. Ed ogni storia è molto viva in noi. Sappiamo del ragazzino di 9 anni che stava rincasando da scuola sul motorino con il padre. Erano nella zona delle proteste, hanno sparato. Suo padre è rimasto molti mesi in ospedale. La mamma non ha portato il cadavere in camera mortuaria, perché aveva paura che lo rubassero come hanno fatto con il cadavere di Nika Shakarami, 17 anni. Lo avevano rubato perché l’avevano stuprata e non volevano che i familiari lo scoprissero. La mamma del bimbo ha tenuto il cadavere una notte in casa con il ghiaccio: il giorno dopo ha fatto il funerale».
Tu rischi molto a parlare in pubblico, ad esporti?
«Il rischio l’ho già superato. All’inizio avevo molto dubbi a pare il portavoce, perché pensavo: io ancora non ho visto molti posti in Iran. Ho molti familiari. Ci voglio tornare e vedere le città che non ho ancora visto, perché è un Paese bellissimo Avevo sempre questo conflitto in in me».
Poi?
«Poi ad un certo punto mi sono detta. ‘No, questa volta vinciamo’ E adesso non andrò in Iran finché non vinciamo questa rivoluzione».
Alla tua mamma cos’hai detto?
«Che non posso tornare, perché sicuramente ci tengono d’occhio. Infatti, stiamo chiedendo di espellere gli ambasciatori della Repubblica islamica da tutta l’Europa e quindi anche dall’Italia, , perché sicuramente loro hanno la lista di tutti noi, ci tengono d’occhio. Quando siamo andati alla manifestazione a Milano, molti si sono messi la mascherina. L’unica cosa di cui ho paura, è per i miei familiari. Io non sono un leader fuori dall’Iran e non rischio molto, ma se loro capiscono che potrei essere un rischio, cercano di azzittirmi in qualche modo».
Rivalendosi sulla tua famiglia.
«Sì».
Quanto è mancato il sostegno dell’Occidente, dell’Europa?
«Fanno ancora tantissimi affari con la Repubblica islamica. Ci sono ancora tanti scambi e finché ci sono questi scambi, a Repubblica Islamica vive. Noi speriamo che l’Europa isoli questo regime».
Stavolta, sarà la volta buona?
«Sicuramente sì. È solo una questione di tempo».
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