L'ANALISI
10 Febbraio 2023 - 05:30
CREMA - Un bambino che insulta un compagno di classe, in maniera ripetuta, al punto da creargli una condizione di forte disagio e da spingerlo a non voler più andare a scuola. I genitori dell’alunno vittima di soprusi che meditano di fargli cambiare istituto. Cose che probabilmente succedono, quando i bambini ripetono parole che magari sentono dai ragazzi più grandi, urtando la sensibilità di un coetaneo. Ma quando la situazione viene vissuta talmente male da non voler più frequentare la classe, è inevitabile che si arrivi a catalogare l’episodio come bullismo. La vittima di un comportamento che non accenna ad arrestarsi, nonostante i ripetuti interventi educativi e disciplinari messi in atto dalle maestre e dal dirigente scolastico, è un bambino di quarta di una scuola primaria della città.
Per capire i reali contorni della vicenda, abbiamo sentito il preside: «Tre settimane fa, la famiglia dell’alunno ha segnalato il problema. Immediatamente ho allertato la referente di plesso e le insegnanti della classe per cercare di ricostruire i fatti e per aumentare la vigilanza. Un colloquio è stato fatto con i due bambini interessati».
Mentre la scuola era impegnata a redimere la questione, il padre dell’alunno vittima di insulti ha parlato con la mamma del bullo all’uscita da scuola, facendo nascere un acceso diverbio.
«Questo episodio non ha aiutato a ritrovare un clima sereno – prosegue il dirigente – ma nel frattempo ho convocato un consiglio di classe straordinario per discutere i provvedimenti disciplinari da adottare, nel rispetto del regolamento di istituto e della gestione delle emozioni. Ho anche convocato la mamma del bambino, autore di comportamenti scorretti. Inoltre, ho fatto intervenire in classe le psicologhe del consultorio, sulle tematiche del bullismo e delle buone relazioni. Infine, ho predisposto la presenza di un’insegnante aggiuntiva, per un maggiore controllo».
Nonostante tutti gli interventi messi in atto dalla scuola, martedì l’alunno bullizzato è stato convinto a rientrare, ma lo stesso giorno, prima dell’uscita, è stato di nuovo offeso e da allora non è più tornato in aula. «Per risolvere il problema – conclude il dirigente – c’è bisogno della collaborazione delle famiglie».
Sulla vicenda è intervenuta anche l’assessore all’Istruzione Emanuela Nichetti: «Il problema è complesso e non si può pensare di risolverlo solo con i corsi di prevenzione attivati nelle scuole. Per contrastare il fenomeno, è necessario che tutti facciano la loro parte. Le famiglie e gli educatori non devono mai perdere di vista i volti dei ragazzi che hanno davanti, sia quelli delle vittime sia quelli dei bulli. Dei primi è necessario saper cogliere tempestivamente i segnali di malessere e di disagio che inviano; gli ultimi devono invece essere educati emotivamente e imparare il rispetto della diversità e delle differenze. Non dobbiamo però dimenticare che spesso i bulli sono a loro volta vittima di qualcosa o di qualcun altro e giudicarli senza capire quale sia la loro storia vanifica ogni tentativo di recupero. I bulli ci saranno sempre, purtroppo. Più grave quindi è il comportamento del branco, di chi li guarda senza fare niente. E’ su questi ragazzi che si deve svolgere la più significativa azione educativa».
«Alla base del problema, c’è che la buona educazione è passata di moda». Riassume così, Cinzia Sacchelli, direttore del Servizio di psicologia dell’Asst, la questione del bullismo. «Si è perso il valore del limite, delle regole, del rispetto e dell’autocontrollo. La famiglia, che dovrebbe avere il primo posto nel ruolo educativo dei figli e nella gestione dei loro impulsi, è in crisi, perché gli adulti stessi lo sono. Ma anche i genitori attenti si trovano spesso in difficoltà».
In questo contesto, non c’è dunque da stupirsi se anche la scuola fatica a trovare delle soluzioni. «Esiste una tendenza culturale – aggiunge la psicologa – a non regolamentare i propri comportamenti. Ciò è frutto di un clima sociale in cui la libera manifestazione delle proprie istanze, istinti e rabbia compresi, è quasi premiata e fa spettacolo. Invece di essere inibiti o puniti, certi comportamenti sono legittimati o addirittura premiati. Per questo, la scuola ma anche le forze dell’ordine sono in difficoltà a gestire il fenomeno».
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