L'ANALISI
L'OMICIDIO AL CAMBONINO
12 Dicembre 2022 - 15:37
Younes El Yassire e la madre Fatna Moukhrif
CREMONA - Quando nella tarda mattinata del 23 settembre del 2021, nell’appartamento al quarto piano del palazzone al numero 4 di via Panfilo Nuvolone, al Cambonino, si avventò su sua madre Fatna Moukhrif, 54 anni, la massacrò di calci e pugni, l’accoltellò più volte e la finì, tagliandole la gola, era totalmente incapace di intendere di volere, perché Younes El Yassire, marocchino 36enne, da tempo era affetto da «delirio persecutorio», malattia psichiatrica grave, cronica.
Younes oggi è stato assolto dall’accusa di omicidio volontario aggravato, perché non imputabile in quanto affetto da vizio totale di mente. Gli è stata applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata presso la Comunità psichiatrica protetta in Valchiusa, il residence della Valchiusella, che ospita malati psichiatrici, con una serie di prescrizioni. Il residence non è una struttura detentiva. Se all’epoca dei fatti, El Yassire era stato giudicato «socialmente pericoloso» tuttavia, tale pericolosità, nel frattempo «si è attenuata», hanno confermato gli psichiatri Giacomo Filippini di Brescia e Mario Mantero di Milano, ai quali lo scorso novembre il presidente della Corte d’Assise, Anna di Martino (a latere il giudice Chiara Tagliafierri e sei giudici popolari, tre donne e tre uomini) aveva chiesto una rivalutazione. La sentenza è arrivata alle 13.26, dopo due ore di camera di consiglio. La motivazione tra quindici giorni.
Ma sulla misura di sicurezza nel residence in Valchiusa non era d’accordo il pm Francesco Messina, per il quale El Yassire andava mandato per 10 anni in una Rems, l’ex ospedale psichiatrico giudiziario. In Lombardia c’è quella di Castiglione delle Stiviere (Mantova), ma è al completo, c’è una lunga lista d’attesa così come in tutte le Rems italiane. Un problema serio, emerso oggi al processo, tanto che la Corte Costituzionale, con sentenza del 22 gennaio scorso, aveva già rilevato un difetto sistemico nella tutela dei diritti fondamentali delle persone sottoposte alle misure di sicurezza nelle Rems, ritenendo non più tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa che, in assenza di posti disponibili negli ex Opg, non aveva ancora trovato una qualsiasi soluzione alternativa alla detenzione in carcere. Il monito è caduto nel vuoto, ad oggi.
«Ciò non giustifica il collocamento di El Yassire presso una struttura aperta, perché tale sarebbe il residence della Valchiusa, in regime di libertà vigilata - ha osservato il pm -. Non è compito facile garantire contemporaneamente l’esigenza di tutela dell’imputato e di tutela della collettività. Vi è il rischio concreto che El Yassire interrompa le cure e si allontani». Per il pm, la comunità psichiatrica piemontese non darebbe «garanzia: non ci sono sbarre né alle finestre né alle porte, gli ospiti escono fuori per curare l’orto».
Assistito dall’avvocato Mario Lovero di Torino, El Yassire ha detto: «Non ho da fare dichiarazioni, perché non mi ricordo nulla». Detenuto nel carcere di Pavia, lascia la cella per la comunità piemontese. In aula c’era suo padre. Non si vedevano da quel 23 settembre, padre e figlio. Si sono abbracciati e scoppiati in un pianto a dirotto. Ad assistere al processo, in aula c’erano anche gli studenti della classe 4A Lsa, Liceo delle scienze applicate, del Torriani, accompagnati dal loro professore di diritto e avvocato, Paolo Villa.
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