L'ANALISI
02 Novembre 2022 - 05:00
CREMONA - Invitato dalla Oxford University Italian Society, oggi Nicolò Govoni parlerà della sua esperienza di attivista, del modello educativo internazionale portato avanti dalla sua associazione Still I Rise alla Business School dell’università di Oxford: «Racconterò quanto stiamo facendo con Still I Rise. Mi hanno chiesto di illustrare la mia esperienza di operante e il nostro modello educativo».
Da Oxford alle scuole in Kenya, Congo, Grecia, Turchia e Siria, l’istruzione può cambiare il mondo?
«Noi di Still I Rise siamo convinti che offrire un’istruzione di qualità possa cambiare le cose e in questa direzione agiamo dal 2018».
Non è un caso che il suo ultimo libro, pubblicato per Rizzoli, s’intitoli: «Ogni cambiamento è un grande cambiamento». È così sempre?
«È così e lo raccontiamo nel volume. Il libro propone cinque storie di riscatto, cinque storie che prendono spunto dalle risposte che i nostri studenti hanno dato a interrogativi semplici come: che cosa significa per te famiglia? Chi è il tuo migliore amico? Cosa vuol dire essere coraggioso? Gli studenti delle nostre scuole hanno inviato i loro elaborati e io ho cercato di costruire da questi materiali di vita vera cinque storie che fossero un concentrato di voglia di cambiare e dell’opportunità di dare una nuova direzione alla propria vita. In tutto questo la forza dei bambini e dei ragazzi è inimmaginabile».
Da cosa nasce la sua esigenza di portare sulla pagina scritta ciò che fa?
«Io amo scrivere, è un piacere che non voglio negarmi ed è un modo per riflettere e mettere in fila quanto accade intorno a me, per poi condividerlo con chi legge e compra i miei libri, i cui proventi vanno a favore delle scuole di Still I Rise».
Still I Rise è una realtà che è cresciuta, oggi rappresenta una sorta di modello internazionale...
«Dal 2018 al 2021 c’è chi ha parlato di miracolo Still I Rise. Siamo cresciuti, anno dopo anno, arrivando a incrementi del 95%. Ma quest’anno, paradossalmente, rischiamo di non coprire i costi. È un momento difficile per l’organizzazione e stiamo lavorando per far fronte alle difficoltà».
Come si spiega tutto questo?
«L’attuale crisi ucraina ha spostato l’interesse e le donazioni su altri fronti. Siamo stati chiamati anche noi a occuparci della situazione ucraina, ma non abbiamo ravvisato la necessità di entrarvi. L’incertezza di quest’anno ha fatto sì che i piccoli donatori limitassero il loro apporto. Ma soprattutto il provider Stripe, attraverso cui passavano le transazioni online, ha chiuso il nostro account, forse per l’azione condotta in Siria, Paese sotto embargo americano. Ciò ha causato all’associazione 200 mila euro di danni. Ora stiamo creando una nostra banca etica che ci permetterà di ricostituire il flusso di donazioni online, ovviamente crisi permettendo».
In questa situazione come bisogna leggere la chiusura di alcune vostre scuole, come quella all’isola di Samos e quella in Turchia?
«Sono due chiusure differenti e che credo possano spiegare il modo di agire di Still I Rise. La scuola di Mazì ha concluso la sua funzione. Quando arrivammo nell’isola di Samos, nel 2018, la situazione era drammatica. L’hotspot ospitava 7 mila persone, pur avendo una capienza per 650. Ai bimbi siriani era proibito accedere alle scuole greche. Oggi la situazione è cambiata: l’hotspot dell’orrore è stato chiuso e oggi i profughi vengono accolti in un’area per duemila persone che ne accoglie 400. Ma soprattutto i bambini siriani oggi sono accolti dalla scuola pubblica greca. Per questo, insieme di cose al team, abbiamo deciso che la missione di Mazì era terminata».
E invece per quanto riguarda la scuola di Gaziantep, città vicina al confine turco-siriano?
«È stata un’esperienza difficile, iniziata nel 2019, poi interrotta dalla pandemia e da pesanti difficoltà di interazione con il governo turco. L’esperienza di Gaziantep ci ha costretto a confrontarci col fallimento, ci ha permesso di crescere e di affinare la nostra organizzazione, anche tenendo conto delle difficoltà incontrate in Turchia. Credo che senza l’esperienza turca non saremmo riusciti ad aprire le scuole in Congo e Kenya, due Paesi con situazioni governative complicate, per usare un eufemismo».
Eppure, nei programmi di Still I Rise c’è l’apertura di una scuola in Colombia il prossimo anno e una in Italia nel 2024.
«È da un anno che stiamo lavorando per aprire in Colombia, ma la situazione contingente forse farà slittare i tempi».
Perché aprire una scuola in Italia?
«Perché nessuno lo dice, ma viviamo un’emergenza educativa. Uno studente su sette non raggiunge il diploma in Italia, la dispersione scolastica è drammatica. L’altro giorno mi è arrivata una mail in cui una madre mi raccontava come suo figlio a scuola abbia una maestra che quotidianamente gli dice che non vale nulla e non concluderà niente nella vita. Quella madre si è rivolta a me per chiedermi cosa fare. Quell’insegnante dovrebbe essere denunciata, sta esercitando un abuso su quel bambino. Queste cose non devono succedere. Anche per questo bisogna cambiare la scuola, e Still I Rise vorrebbe proporre il suo modello».
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