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IL DELITTO DI PALAZZO PIGNANO

Uccise la moglie, ergastolo cancellato a Zanoncelli

A Brescia, nel processo bis, all'operaio 52enne hanno dato 22 anni e 6 mesi di reclusione per la morte di Morena Designati

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

16 Settembre 2022 - 19:32

Uccise la moglie, ergastolo cancellato a Zanoncelli

Eugenio Zanoncelli e la villetta del delitto

PALAZZO PIGNANO - A Cremona, la condanna all’ergastolo per aver ucciso sua moglie. A Brescia, nel processo bis, gli hanno dato 22 anni e 6 mesi di reclusione. E’ la sentenza emessa nel pomeriggio di oggi dalla Corte d’assise d’appello per Eugenio Zanoncelli, l’operaio di 58 anni che la sera del 24 giugno 2020 sferrò un pugno e una stampellata in faccia a sua moglie Morena Designati, 49 anni.

Donna fragile, Morena, un corpo ridotto pelle ed ossa dalla sclerosi multipla. Si era ammalata nel 2015 e, negli anni, si era aggravata. Due colpi fatali. La moglie morì per arresto cardiocircolatorio.

morena

La vittima, Morena Designati

Ventitré anni di carcere li aveva chiesti il sostituto Procuratore generale, sostenendo che Zanoncelli quella sera, nel salottino della villetta in via De Nicola, non voleva uccidere sua moglie. Precisamente, non c’è stato «dolo diretto», ma «dolo eventuale». Ovvero, nel colpirla, il marito accettò il rischio «dell’evento»: la morte della povera Morena consumata dalla malattia. Ma che se il marito avesse subito chiamato i soccorsi, forse si sarebbe potuta salvare.

A Zagnoncelli, in carcere da quel 24 giugno, la Corte d’assise d’appello (prima sezione) ha concesso le attenuanti generiche (chieste dal sostituto Pg), che nel primo processo gli erano state invece negate. L’uomo era difeso dall’avvocato Maria Laura Quaini.

Nel processo si era costituito parte civile Andrea, 15 anni, figlio unico della coppia, rappresentato dal curatore, l’avvocato Maria Luisa Crotti, e difeso dall’avvocato Micol Parati. E parte civile si erano costituiti la madre, i due fratelli e la sorella di Morena.

Eugenio e Morena si sposarono l’1 marzo del 1994. Prima di essere assunto nel 2003 alla Bosch, l’operaio lavorò in altre fabbriche.

«Non avevo intenzione di uccidere mia moglie», si era difeso il marito nel primo processo davanti alla Corte d’Assise di Cremona. La sua verità: «Eravamo seduti sul divano, c’è stata una delle tante discussioni sul fatto che non volesse farsi aiutare. Era palese che aveva bisogno di aiuto. Io la lavavo, facevo la spesa, pulivo la casa, lo facevo volentieri. Lei non voleva aiuti, psicologicamente per me non era facile. Non so quello che mi è preso».

Zanoncelli negò di aver colpito Morena con un pugno e una stampella. «Le ho tirato due schiaffoni, lei è andata a sbattere con la faccia contro il bracciolo del divano, è caduta per terra con la faccia verso il pavimento. L’ho raddrizzata, le ho fatto il massaggio cardiaco. Perché non ho chiamato i soccorsi? Perché sono entrato nel panico».

Quella sera, il marito caricò il figlio in auto, lo scaricò sul portone della casa del fratello Roberto, a Rivolta d’Adda. E fuggì. All’alba lo fermarono i carabinieri al confine con la Bergamasca. Interrogato in caserma, al pm Milda Milli dichiarò: «Ho voluto uccidere mia moglie», per poi negare di averlo detto al processo.

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