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CORONAVIRUS E PROCESSO

«Contro Mosca solo calunnie: dagli infermieri false prove»

La motivazione della sentenza di assoluzione del medico cremonese, primario al Ps di Montichiari

Francesca Morandi

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10 Settembre 2022 - 05:30

«Contro Mosca solo calunnie: dagli infermieri false prove»

Il medico Carlo Mosca

BRESCIA - «'Tesi', ‘supposizioni’ e ‘sospetti’ hanno costituito la linfa vitale che ha cristallizzato un’accusa calunniosa di omicidio, tanto più infamante in quanto rivolta ad un medico, ossia ad una persona avente vocazione salvifica e non certamente esiziale».

Ed ancora, «tra le carte processuali è rimasta impressa ampia traccia dell’incedere limaccioso ‘a tandem’ del Rigo e del Bonettini, che hanno orchestrato una manovra di accerchiamento in danno del primario, arrivando persino a costruire prove false per comprometterne in modo irrimediabile la posizione».

Lo scrive il presidente della Corte d’Assise, Roberto Spanò, nelle 104 pagine di motivazione della sentenza di assoluzione - con formula piena - di Carlo Mosca, 49 anni, nato e cresciuto a Persichello, primario del Pronto soccorso di Montichiari (Brescia) inchiodato per più di 500 giorni agli arresti domiciliari dal «subdolo agire», dallo «stratagemma calunnioso», dalla «macchinazione» di Michele Rigo e Massimo Bonettini, gli infermieri che per la Corte d’Assise di Brescia, lo avrebbero calunniato: gli atti sono stati trasmessi al pm.

MACCHINAZIONE E CALUNNIA

La «macchinazione» di Rigo e Bonettini per architrave dell’accusa shock contestata a Mosca: omicidio volontario di tre pazienti Covid-19 morti nel marzo del 2020, in seguito alla somministrazione di Succinilcolina e Propofol, farmaci letali se non associati all’intubazione. Sono i casi di Natale Bassi, 61enne di Ghedi e di Angelo Paletti, 79enne di Calvisano, pazienti arrivati al Pronto soccorso con una gran fame d’aria e gravi patologie. Il pm, Federica Ceschi, aveva chiesto 24 anni di reclusione e l’assoluzione per la morte di Ernesto Nicolosi, 87 anni.

Due anni fa, al Pronto soccorso cominciò a circolare «sotto la traccia» la voce che il primario facesse morire i pazienti. La misero in giro Rigo e Bonettini, le anime di «congetture colpevoliste» e dell’esposto. Per «puntellarlo», l’esposto, ‘confezionarono’ «prove false». «Hanno iniziato a mobilitarsi, cercando di reclutare alla causa i colleghi». Ma «il tentativo si è dimostrato del tutto infruttuoso». Perché al processo, i due accusatori di Mosca — inciampati in numerose contraddizioni — sono stati smentiti dai colleghi «reclutati».

«Prove false» come le due fiale di Succinilcolina e la fiala di Propofol che «come d’incanto — sottolinea Spanò — si materializzarono all’interno di un cestino di rifiuti». Fialette vuote, fotografate con le etichette in bella vista. Nella costruzione di «prove false», ci si è spinti a somministrare il Propofol a Paletti post mortem, come ha dimostrato il pool di consulenti medici messo in campo dagli avvocati Elena Frigo e Michele Bontempi, difensori di Mosca.

«Prove false, costruite ad hoc, che hanno cosparso una patina scivolosa sull’indagine , condizionandone pesantemente l’esito — è scritto nella motivazione —. Le fiale surrettiziamente inserite nel cesto del vetro ed il Propofol somministrato nella salma di Paletti hanno costituito, infatti, la ‘pistola fumante’ che ha probabilmente indotto, nella fase incidente cautelare, a sottovalutare i plurimi elementi dissonanti pure già rilevabili ab initio nell’infido incedere del Rigo e Bonettini, nonché sottostimare l’intrinseca inverosimiglianza di ciò che gli infermieri avevano rappresentato, ovvero l’uccisione da parte del medico di pazienti moribondi che potevano essere molto più semplicemente ‘accompagnati’ con la morfina».

La notte del 25 gennaio 2021, i carabinieri si presentarono a Persichello con l’ordinanza di custodia cautelare (domiciliari). Il movente? Mosca voleva liberare posti letto ed era sotto stress. Ma lui — il primario che in piena emergenza pandemica si prese una camera in un B&B di fronte all’ospedale, che, staccato dal turno, telefonava per informarsi sui pazienti e che di pazienti ne ha salvati — Mosca, il primario «molto stimato» in reparto, al processo ha smontato il movente: di posti letto ne ricavò anche in sala mensa.

«Non vi era un’esigenza particolare di liberare letti», annota Spanò. «Se agli albori si poteva ipotizzare che gli infermieri fossero semplicemente persone poco avvedute — sottolinea il presidente —, animate da un malinteso sentimento etico che li aveva spinti ad ergersi a paladini di una nobile causa, tanto più nobile perché li contrapponeva al proprio primario, non appare giustificabile la successiva adesione acritica e fideistica alle proprie elucubrazioni. Inescusabili appaiono poi, in ogni caso, gli escamotage cui i due infermieri sono ricorsi per cementare le loro accuse e, soprattutto, imperdonabile la malevola fabbricazione di prove false».

L’1 luglio scorso, Mosca è stato assolto con formula piena.

«Grave - conclude Spanò — è stato il danno provocato all’immagine del Pronto Soccorso di Montichiari e alla serenità del personale, a causa del clima di sfiducia creatosi all’interno del presidio ospedaliero. Di enormi proporzioni è stata soprattutto l’afflizione arrecata all’imputato, che ha patito una ingiusta e prolungata limitazione della libertà personale e rischiato di subire una condanna all’ergastolo, con gravissime ripercussioni sul piano sia umano che professionale, cui il verdetto assolutorio può porre solo parziale rimedio». 

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