L'ANALISI
07 Agosto 2022 - 11:33
Il primario Carlo Mosca
CREMONA - Dopo 250 e passa giorni agli arresti domiciliari da innocente, con un’accusa gravissima – omicidio volontario di tre pazienti Covid accusa al processo in Corte d’Assise smontata, pezzo dopo pezzo, dai suoi difensori Elena Frigo e Michele Bontempi, dopo l’assoluzione con formula piena e la trasmissione degli atti al pm perché si proceda per calunnia nei confronti di due infermieri, dall’1 luglio scorso, il giorno della sentenza, Carlo Mosca, 49 anni, cremonese di Persico Dosimo, primario facente funzioni del Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari dal 1º luglio scorso, si è ripreso la vita in mano.
Con l’auspicio di tornare, a testa alta, lì dove lo aspettano tutti: Montichiari. Con riferimento all’intervista pubblicata il 2 agosto scorso su «La Provincia», dal titolo ‘Carlo Mosca: Sono pronto a tornare al mio ospedale’, il medico ritiene «fondamentale fare alcune precisazioni. Non ho mai detto che il direttore generale Lombardo, durante l’incontro di luglio, ha affermato di avere intenzione di ‘… aprire a giugno dell’anno prossimo il concorso da primario e farmelo vincere’ anche perché non è ciò che è stato detto e non è certo così che funziona. Nel corso dei lunghi anni della mia esperienza presso gli Spedali Civili di Brescia ho avuto sempre prova della assoluta correttezza dell’operato della direzione generale e dell’ufficio del personale’».
Ed ancora, «durante quell’incontro, il direttore generale ha espresso semplicemente la propria solidarietà umana per l’esito della vicenda giudiziaria, dicendomi che comprendeva la mia esigenza di rientrare nel mio ruolo il prima possibile e che, essendoci il posto da primario già ricoperto da un collega, avrei potuto partecipare ad un successivo concorso. Ma tutto questo in termini puramente ipotetici e discorsivi».
Inoltre, Mosca si dice «rammaricato per il fatto che il contenuto riservato del colloquio, di cui ho - forse ingenuamente - parlato nel corso della chiacchierata con la giornalista solo per farle meglio comprendere la mia situazione lavorativa, sia stato comunque reso pubblico, cosa che - anche questa - esulava dalle mie intenzioni. Infine, per quanto riguarda il mio riferimento al presidente della Regione Fontana, mi ero semplicemente ripromesso di aggiornarlo - anche qui sulla mia situazione lavorativa - dopo aver ricevuto da lui, che non conoscevo prima di questa vicenda e che non ho più avuto occasione di sentire, una telefonata di solidarietà dopo la sentenza di assoluzione (in fondo sono un dipendente di un ente gestito dalla Regione Lombardia, che ha subito una ingiusta sospensione lavorativa di oltre 1 anno e mezzo per effetto di una ordinanza cautelare del Gip di Brescia, che poi è stata smentita dalla sentenza di assoluzione della Corte di Assise».
«Mai — prosegue Mosca — avrei immaginato che una mia comprensibile esigenza di raccontare la drammaticità di una vicenda giudiziaria che ha stravolto la mia esistenza, generasse il rischio di innescare una strumentalizzazione a livello politico e, per questo motivo, vorrei manifestare il mio rammarico (in particolare nei confronti del direttore Lombardo e del Presidente Fontana) per avere involontariamente dato adito ad una polemica basata su un grossolano fraintendimento, quando in realtà la mia intenzione era solo quella di raccontare la mia storia personale, che è quella dell’ingiusto stravolgimento dell'esistenza di un medico dedito esclusivamente alla salute dei pazienti».
Il primario Mosca ha già sofferto. E più di lui, ha sofferto l’anziano padre, Gianni, 79 anni, elettrico della Tamoil in pensione, sempre accanto a suo figlio nei 200 e passa giorni di arresti domiciliari nella villetta di famiglia, a Persichello, frazione di Persico Dosimo, dove di Mosca tutti dicono: «È un bravissimo medico, dotato di grande umanità».
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