L'ANALISI
27 Agosto 2022 - 10:38
CREMA - Come già nel 2020 e l’anno scorso, ieri sera la comunità di San Bernardino e Vergonzana è tornata a riunirsi per ricordare Sabrina Beccalli. Una fiaccolata a cui hanno partecipato una cinquantina di persone, organizzata a due anni e pochi giorni dalla tragica morte della 39enne, avvenuta la notte di Ferragosto nell’appartamento di via Porto Franco, nel quartiere. Commozione e raccoglimento per una camminata silenziosa, cominciata dal sagrato della parrocchia di Vergonzana e conclusa poco più di mezz’ora dopo nella chiesa di San Bernardino.
Un corteo con in testa il parroco don Lorenzo Roncali, che ha portato la croce. «Siamo qui per ricordare la cara Sabrina, una donna che portava gioia e il suo sorriso, e noi vogliamo evidenziarli con la luce – ha sottolineato il sacerdote prima della partenza –: io sarà in testa alla fiaccolata con la croce, simbolo di dolore, ma segno anche di resurrezione, della voglia e del desiderio di riscatto dalla morte. Partiamo da Vergonzana, la zona dove venne ritrovato quel poco che rimaneva del corpo di Sabrina due anni fa, e raggiungiamo San Bernardino, il quartiere dove lei aveva sempre vissuto». Proprio don Lorenzo, come già gli anni scorsi, in accordo con i fratelli della vittima, Giorgio, Simona e Teresa, ha voluto la fiaccolata.
Da parte dei familiari nessuna voglia di parlare, dentro di loro c’è ancora troppo dolore, troppa rabbia per quello che è accaduto e per come si sono poi sviluppate le indagini. Il corpo della Beccali è stato divorato dalle fiamme. Non è stato dunque possibile restituirne i resti ai fratelli e al figlio, che all’epoca della morte aveva 15 anni. È stato bruciato all’interno della Fiat Panda da Alessandro Pasini, l’amico della 39enne. L’ottobre scorso lo stesso Pasini, che si trovava nel penitenziario a Monza da un anno, due mesi e 10 giorni, era uscito di cella dopo la sentenza che lo aveva assolto dall’accusa di omicidio. Lui ha sempre negato di aver ucciso Sabrina.
«È morta per un’overdose» ha ripetuto ogni volta agli investigatori. Quella notte Pasini era con lei nell’appartamento di via Porto Franco. «Sì è vero, ho caricato sulla Fiat Panda il cadavere e ho dato fuoco all’auto, perché ero nel panico, ma non l’ho ammazzata io». La condanna a suo carico è a sei anni di carcere per distruzione di cadavere. Una versione dei fatti alla quale i fratelli non credono affatto. Sperano nel processo d’appello, di cui deve ancora essere fissata la data.
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