L'ANALISI
10 Luglio 2022 - 17:29
Un momento della commemorazione
CREMONA - Non si dimentica il rumore delle bombe. Perché è il suono della morte e della distruzione, di un passato spazzato via insieme al presente ed al futuro che avrebbe potuto nascerne. Ma la memoria che lo tramanda deve diventare assunzione di responsabilità, gratitudine verso il dono mai scontato di una pace che bisogna continuare a costruire. Lo ha ricordato il sindaco Gianluca Galimberti, intervenendo oggi alla tradizionale commemorazione delle vittime del bombardamento americano che il 10 luglio 1944 seminò morte (132 vittime inclusi 13 militari tedeschi) e distruzione - oltre ad 82 feriti - tra la stazione ferroviaria e le zone di Sant’Ambrogio e Porta Milano.
Organizzata insieme al Dopolavoro Ferroviario di Cremona e Mantova presieduto da Virgilio Ferrari, l’iniziativa si è aperta con l’omaggio ai caduti, terminando con la Messa in suffragio celebrata a Sant’Ambrogio dal parroco don Paolo Arienti.
«Mai come quest’anno è stato per noi difficile e doloroso riproporre questo appuntamento», ha sottolineato Ferrari, ricordando la «follia della guerra» che è tornata a divampare nel cuore dell’Europa, sino a far temere che la dura lezione del secondo conflitto mondiale (costato milioni di morti) non sia servita a nulla. «Se c’è una speranza alla quale rimanere aggrappati - ha sottolineato Ferrari - sta ancora una volta nelle parole di don Primo Mazzolari: ‘Tu non uccidere’. Credo non ci sia altro da aggiungere».
E poi c’è la risposta della solidarietà; quella raccontata da Giorgio Rampi, capotreno in pensione, volontario e consigliere comunale a Malagnino. Ha ricordato la straordinaria mobilitazione che nelle scorse settimane ha permesso di raccogliere e portare in Ucraina generi di prima necessità e di ospitare profughi sul territorio provinciale.
«Mi vengono ancora le lacrime agli occhi pensando a tutto ciò che abbiamo visto e vissuto nei nostri viaggi, ma siamo pronti a ripartire appena possibile».
Perché rimane impresso nel cuore, il rumore delle bombe; lo si può leggere chiaramente nello sguardo di chi lo conosce, negli occhi della ragazza ucraina incontrata da Galimberti nelle scorse settimane. «Svolge il servizio civile in Comune, è originaria di Mariupol, e nei giorni più duri dell’attacco russo mi ha detto ‘Io non ho più una città’. Ha visto cancellare le sue radici. Allora facciamo uno sforzo in più per metterci nei panni delle vittime di oggi. E’ il gesto di gratitudine che dobbiamo ai martiri di Cremona, e che - forse - potrebbe davvero cambiare le cose».
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