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Tentata rapina alla farmacia Sant'Ambrogio, disposta la perizia psichiatrica per l'assaltatore

Niente sentenza per il 60enne reo confesso. La dichiarazione spontanea: "Da tre anni, io sono seguito in un progetto di riabilitazione sociale"

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

05 Luglio 2022 - 15:46

Tentata rapina alla farmacia Sant'Ambrogio, disposta la perizia psichiatrica per l'assaltatore

Il rapinatore e una volante della Polizia davanti alla farmacia Sant'Ambrogio

CREMONA - «Vorrei rilasciare dichiarazioni spontanee». Accolta la richiesta, nel bel mezzo del processo, Davide Pigozzi, 60 anni, ai giudici ha confessato la rapina (tentata) messa a segno la sera del 29 dicembre scorso alla farmacia Sant'Ambrogio di Guglielmo Leggeri, in via Fabio Filzi. Ma ha anche spiegato il perché di quell’assalto con coltello fallito. «Da tre anni, io sono seguito in un progetto di riabilitazione sociale. Poi è successo il Covid, non sono più capace di reinserirmi da solo nella società. Questo è il mio modo di distruggere la mia vita. Potevo tagliarmi l’arteria, non l’ho fatto. Ho fatto un atto super deplorevole, gravissimo, ma io lo faccio per distruggere la mia vita. Sì, sto confessando la rapina, un modo per distruggere la mia vita».

Niente sentenza, oggi, ma, su richiesta del pm Francesco Messina, che l’ha sollecitata, il Tribunale ha disposto la perizia psichiatrica al fine di accertare quale sia la malattia di cui Pigozzi è affetto e se sì, se al momento del fatto fosse capace totalmente o parzialmente di intendere e di volere e se sia socialmente pericoloso. L'uomo è difeso dall'avvocato Giuditta Evangelisti. 


Il volto, il collo e le braccia tatuate, un passato da tossicodipendente, nel 2007 Pigozzi venne condannato per un tentato omicidio davanti al Sert, nel 2014 per la rapina alla farmacai Zamboni, nel quartiere Po. Si prese tre anni di reclusione, fu portato all’ospedale psichiatrico giudiziario per una riconosciuta semi infermità di mente. Da Zamboni, otto anni fa Pigozzi entrò alle tre e quaranta del pomeriggio, a volto scoperto, pistola e coltello in pugno. Fuggì con 2.800 euro.


Nella farmacia Leggeri, lo scorso 29 dicembre, ci ha ha messo piede cinque, dieci minuti prima delle 8 di sera, l’orario di chiusura, il volto coperto da una mascherina con un buco all’altezza della bocca, un cappuccio in testa, un grosso coltello da cucina in tasca. Il farmacista Guglielmo Leggeri era nel retro, sua moglie, la titolare, era al banco con il figlio farmacista. E al di qua del banco, c’era Silvia, la dipendente. Che oggi al processo, è tornata a quella sera. «La porta  si è aperta - ha raccontato —. E’ entrato (l’imputato, ndr ) conciato in modo un po’ strano. Nessuno ci ha fatto caso. Si è avvicinato alla cassa, ha detto ‘Dammi i soldi’. Io ho pensato ad uno scherzo di un amico dei ragazzi. E’ intervenuta la mia titolare. Gli ha detto: ‘Che cosa stai facendo? Vattene’. Lui ha tirato fuori il coltello, un coltello da cucina grosso. Io ero molto agitata, ho indietreggiato. Con il braccio sinistro, lui ha afferrato il mio braccio destro. Nella mano destra aveva il coltello, lo ha sempre tenuto in mano, puntato verso la titolare che era a distanza di circa due metri.  Le ha detto: ‘Vuoi che le faccia del male?’. La mia titolare gli ha risposto: ‘Vattene’, cosa vuoi’. E’ accaduto tutto in un brevissimo tempo. Lui ha semplicemente mollato la presa e se ne è andato».


Silvia non si è ricordata né che il rapinatore avesse tatuaggi né che zoppicasse. «L’andatura? So che è uscito abbastanza tranquilli, non correva. Non so dire se zoppicasse o meno». la sera del 29 dicembre, arrivò la squadra Volante, la Squadra mobile cominciò l’indagine. Si arrivò presto a Pigozzi, noto per i suoi precedenti. Non solo. L’uomo si confidò con l’educatore che lo stava seguendo, gli consegnò anche il coltello. Con la polizia fu «assolutamente collaborativo», ha detto chi ha indagato. Tra una settimana, il Tribunale affiderà l’incarico allo psichiatra Franco Spinogatti.

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