L'ANALISI
30 Giugno 2022 - 05:10
CASALMAGGIORE - Avevano architettato un complesso sistema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sfruttando anche le possibilità offerte dal cosiddetto decreto rilancio emanato dal Governo nel maggio del 2020 a seguito della pandemia. Sono però finiti nei guai un pakistano 26enne, A.M., finito ai domiciliari, e la 35enne cittadina indiana, J.B.. È stata la squadra mobile di Parma a mettere fine alle illecite operazioni dei due stranieri che operavano al confine fra le province di Cremona, Mantova e Reggio Emilia. Secondo gli inquirenti, A.M. prestava consulenza e aiuto a cittadini stranieri che avevano bisogno di ottenere il permesso di soggiorno — ma privi dei requisiti —, fornendo loro falsa documentazione e aiutandoli nella presentazione delle domande. Per tali «servizi» chiedeva somme di denaro non inferiori a 1000/1500 euro.
Come detto, è stato appurato che il 26enne sfruttava le «opportunità» offerte dal Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 recante ‘Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19’, ovvero il decreto rilancio. Il dl aveva introdotto una specifica disciplina volta a favorire l’emersione dei rapporti di lavoro irregolare e la possibilità del rilascio di uno specifico titolo di soggiorno per i lavoratori stranieri «emersi» a cui A.M avrebbe fatto ricorso per regolarizzare la posizione di stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, pronti a pagare di tasca propria i contributi previdenziali per simulare la sussistenza di un rapporto di lavoro; il tutto dietro compenso da versare all’intermediario e al finto datore di lavoro.
E' iniziata dopo gli accertamenti sul conto di uno straniero irregolare che, innanzi al Giudice di pace di Torino (per un decreto di espulsione) aveva detto di aver presentato istanza di emersione in quanto badante «in nero» di un cittadino parmigiano, così evitando l’espulsione dal territorio nazionale. Le indagini hanno consentito, da un lato, di riscontrare che, effettivamente, lo straniero aveva presentato domanda per il riconoscimento dello status di lavoratore «emerso» ma, dall’altro, che il presunto lavoro di collaboratore domestico fosse del tutto fittizio. In tutto sono stati accertati 18 casi di impiego fittizio presso gli uffici delle province di Mantova, Cremona e Reggio Emilia. A.M è indagato per la gestione delle pratiche relative a 7 stranieri, mentre le ulteriori pratiche, con il medesimo ruolo e le medesime modalità, sarebbero state gestite da J.B.: per quest’ultima, il Gip ha rilevato l’incompetenza del Tribunale di Parma, a favore di altro Tribunale, nella cui giurisdizione si sarebbe consumato il primo e più grave reato tra quelli contestati nei suoi confronti.
Complessivamente, oltre ad A.M e J.B. (intermediari), risultano indagate 34 persone, tra datori di lavoro e lavoratori (in base a rapporti di lavoro che, allo stato degli atti debbono ritenersi di natura fittizia), «beneficiari» della procedura di emersione. In particolare, ai datori di lavoro e agli intermediari sono contestati reati di favoreggiamento dell’immigrazione, falso in atto pubblico e — per la sola J. B. — anche il traffico di influenze illecite; ai lavoratori sono contestate le false dichiarazioni rese e la falsa documentazione prodotta.
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