L'ANALISI
15 Giugno 2022 - 16:22
VERONA - L'obesità infantile e adolescenziale ha un impatto importante sullo stato patologico a lungo termine e sulla mortalità dei più giovani in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi, questa condizione persiste dall'adolescenza all'età adulta, associandosi a ipertensione, alterato metabolismo del glucosio e disagio sociale.
“In Italia - spiega Claudio Maffeis, docente di Pediatria generale e specialistica, direttore di Pediatria B e del Centro regionale specializzato per la Diabetologia pediatrica dell’Aoui di Verona - a dieci anni, un terzo dei bambini ha problemi di peso: il 20% sono in sovrappeso e il 10% soffre di obesità. È necessario che il trattamento sia tempestivo e adeguato, perché, in almeno un caso su due, l’obesità in adolescenza persiste nell’età adulta. Inoltre, il peso in eccesso già nei più giovani si può accompagnare a complicanze metaboliche, come ipertensione arteriosa, aumento dei trigliceridi e del colesterolo, steatosi epatica, intolleranza al glucosio e diabete, e non metaboliche, tra cui problemi psicologici quali bassa autostima, depressione, autoisolamento, oltre a stigma sociale e bullismo, che riducono stato di salute e qualità della vita. Per troppo tempo la persona con obesità è stata definita pigra e golosa. Al contrario, consistenti evidenze scientifiche dimostrano che si tratta di una malattia vera e propria, caratterizzata da una predisposizione genetica usualmente legata a più geni che, complessivamente, agiscono contribuendo ad alterare il sistema di regolazione fame/sazietà. L’ampia disponibilità di cibo e la sedentarietà agiscono da fattore scatenante. Alcuni geni sono addirittura responsabili diretti di alcune forme di obesità grave e per alcune di esse è ora disponibile una terapia. La diagnosi è possibile con test specifici eseguiti nella Pediatria B dell’Ospedale Donna Bambino di Verona”.
Curare l’obesità non è facile, prevede un’azione a lungo termine su tutti gli aspetti della vita del bambino e dell’adolescente ma anche dei genitori: alimentazione, attività motoria, stile di vita. Per migliorare l’efficacia del trattamento è indispensabile un maggior coinvolgimento diretto di chi si prende cura del bambino e dell’adolescente, a partire da genitori, familiari, insegnanti, istruttori sportivi, del pediatra o del medico curante, oltre che del paziente. A confermarlo, i risultati dallo studio internazionale “Action teens”, condotto in dieci paesi dei cinque continenti, con la partecipazione di Claudio Maffeis nel comitato scientifico del progetto in rappresentanza dell’Italia.
“Action teens - spiega Maffeis - ha coinvolto circa 13 mila persone, di cui oltre 5 mila bambini e adolescenti con obesità, 5400 genitori e caregivers, e più di 2mila operatori sanitari, con lo scopo di identificare le percezioni, le attitudini, i comportamenti e gli ostacoli per la cura dell’obesità e capire in che modo questi fattori influenzino la sua gestione. Il quadro che ne è emerso è estremamente interessante e in parte sorprendente. Ad esempio, un adolescente su quattro non si rende conto di essere obeso e in un caso su tre non riesce a parlare del proprio peso direttamente con i genitori o con il pediatra/medico curante. In due terzi dei casi ritiene che la perdita di peso sia una propria esclusiva responsabilità. Spesso ricorre ai social media per cercare aiuto. Un genitore su tre fatica a riconoscere l'obesità del proprio figlio e quando viene contattato il curante, nell’80% dei casi l’adolescente presenta già almeno una complicanza dell’obesità. Un genitore su tre attribuisce all’adolescente la piena responsabilità per la perdita di peso, sottostimando l’importanza del proprio ruolo al riguardo”.
Dallo studio emerge, inoltre, l’esigenza segnalata da parte di più dell’80% dei medici intervistati di ricevere una maggiore formazione specifica sull’obesità del bambino e dell’adolescente per poter fornire un’assistenza più efficace.
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