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I NODI DELLA SANITA'

Infermieri «supplenti» dei medici di base: è polemica

Carenza di personale: piovono critiche dopo le parole della vice presidente della Regione Moratti. Poi la Direzione Welfare precisa: «Una misura solo organizzativa»

La Provincia Redazione

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11 Giugno 2022 - 05:15

Infermieri «supplenti» dei medici di base: è polemica

CREMONA - Torna sotto i riflettori la grave carenza di medici di Medicina Generale, che in alcuni ambiti della regione, e anche in provincia, impedisce l’assegnazione al cittadino del proprio medico di famiglia. Ribadendo «la straordinarietà e temporaneità della situazione», la direzione generale Welfare precisa: «È utile pensare a forme di organizzazione innovative che utilizzino personale infermieristico, non certo in sostituzione dell’attività e del ruolo del medico di famiglia, ma a supporto e sotto la responsabilità di quest’ultimo per collaborare e prendere in carico un numero maggiore di assistiti rispetto a quanto è possibile fare ora».

Tradotto: supplenza organizzativa, non già professionale.

«Le figure professionali mediche e infermieristiche — si sottolinea non a caso nella nota — hanno infatti con tutta evidenza competenze diverse, non sovrapponibili né interscambiabili, ma sicuramente sinergiche e complementari».

COLLABORAZIONE D'EQUIPE

La direzione generale Welfare spinge infatti per una collaborazione fattiva, di équipe, fra diverse figure professionali che, integrandosi nel rispetto delle proprie competenze, mansioni, ruoli e compiti, assolvano all’obiettivo di assistere la persona riguardo al complesso dei suoi bisogni.

LE CASE DI COMUNITA'

«Un modello organizzativo che trova concretizzazione nelle Case di Comunità. È già insediato il Gruppo di Lavoro con medici di Medicina Generale, pediatri di Libera Scelta e infermieri voluto specificamente dalla vicepresidente e assessore al Welfare di Regione Lombardia, Letizia Moratti, per affrontare congiuntamente le tematiche relative alle Cure Primarie ed ai modelli assistenziali territoriali».

La direzione generale Welfare di Regione Lombardia ribadisce poi la propria volontà ad una sempre più stretta collaborazione con medici di Medicina Generale e Professioni Infermieristiche, promuovendo forme di integrazione tra gli stessi, e invita a evitare strumentalizzazioni e false interpretazioni che poco aiutano alla risoluzione dei problemi e a fornire risposte adeguate alle reali esigenze dei cittadini».


Un invito non esattamente raccolto da Matteo Piloni, consigliere regionale del Partito democratico: «Non è possibile continuare a creare contrapposizioni e frizioni tra professioni — commenta così il consigliere regionale —. Come gruppo Pd abbiamo presentato una mozione, che va in aula martedì, dove parliamo proprio della multidisciplinarietà del sistema e della sinergia tra le varie professioni. E questo perché la carenza di personale e le difficoltà da affrontare necessitano della massima razionalizzazione e di un utilizzo ottimale delle risorse. Quindi, vorremmo sapere dalla Moratti in cosa consiste la sperimentazione che ha annunciato. Scelte di questo genere hanno bisogno di un necessario coinvolgimento del Consiglio regionale e di un coordinamento secondo regole nazionali che non possono essere interpretate dai livelli regionali».

A «stupire» Piloni, sono «soprattutto le dichiarazioni della vicepresidente, che parla di supplenza e interscambiabilità di ruoli tra medici e infermieri. Noi pensiamo — declina l’ottica differente sua e del Pd, Piloni — che laddove ci siano sedi vacanti di medici di medicina generale, la presenza degli infermieri all’interno delle Case di comunità possa rappresentare una prima interfaccia con il cittadino, appropriata per la tipologia di bisogni che esprime quel livello, ma senza interferire con gli status professionali e mantenendo il netto confine tra competenze. Continuare a mettere in contrapposizione professioni sanitarie e professione medica non giova certo a quel percorso di integrazione da tutti invocato e indispensabile per costruire finalmente la medicina territoriale in Lombardia».

Conclusione: «Non possiamo permetterci di sprecare l’occasione delle Case della comunità, considerandole dei semplici poliambulatori e senza reale integrazione tra diverse professioni e tra sanità e sociale».

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