L'ANALISI
02 Maggio 2022 - 19:25
La copertina di un numero di Paperino
CREMONA - «Quanto mai ho fatto quello scherzo». Fabrizio i 46 anni li ha compiuti a gennaio scorso. Da gennaio del 2013, «quanto mai» è il suo tormentone. In nove anni, due indagini, tre procedimenti e due condanne arrivate con il patteggiamento per un totale di 13 mesi. La sua colpa originale? Uno scherzo all’amico Stefano: nel gennaio di nove anni fa lo ha abbonato, a sua insaputa, a Disney 313, la rivista a fumetti dedicata al rapporto tra Paperino e la sua mitica 313, la decappottabile di colore rosso e blu: un bagagliaio e i tre posti per i nipoti Qui, Quo, Qua. Stefano lo ha scoperto quando la De Agostini gli ha mandato il primo numero di Paperino e ha poi sollecito il pagamento. Stefano è trasecolato. «Io non ho mai fatto l’abbonamento». Allora, ignorava che ci fosse lo zampino dell’amico. Ha presentato una denuncia contro ignoti. E per chi ha indagato, è stato un gioco da ragazzi dare un nome e un volto all’ignoto: Fabrizio, l’operaio incensurato. Non uno di quei truffatori che si nascondono dietro sim intestate a fantasmi o persone decedute. Fabrizio aveva chiamato la De Agostini con il suo smartphone. Dal numero ci è voluto un attimo a smascherato. Ma Stefano l’ha presa malissimo. L’amicizia è andata in frantumi. E nemmeno i 1.000 euro di risarcimento, l’abbonamento più i fastidi, sono serviti a metterci una pietra sopra. Ad evitare all’operaio un procedimento con l’accusa di sostituzione di persona.
Per riemergere dai guai in cui si era cacciato, Fabrizio si è dovuto prendere un avvocato. Ma non poteva permetterselo con i suoi tre lavoretti da operaio. Così, nel frattempo ha presentato un’ istanza per il gratuito patrocinio. Ha compilato l’autocertificazione: una crocetta di qua, una di là. È stato ammesso. Per lo «scherzo di Paperino», ha poi patteggiato 3 mesi di reclusione, pena sospesa. E all’ormai ex amico Stefano, parte civile, ha dovuto versare anche 600 euro di spese legali. Vicenda chiusa, macché. Perché, nel frattempo, la Guardia di Finanza aveva controllato l’istanza di gratuito patrocinio e scoperto che Fabrizio non ci aveva messo dentro uno dei tre lavoretti da operaio. Insomma, non aveva i requisiti per ottenere un difensore pagato dallo Stato. Morale: altra indagine, altro procedimento, stavolta con l’accusa di aver falsificato l’autocertificazione.
Difeso in questo procedimento dall’avvocato Santo Maugeri, davanti al gip che ha poi revocato l’ammissione al gratuito patrocinio, Fabrizio ha patteggiato 10 mesi di reclusione con pena sospesa. Vicenda chiusa, macché. Alla condizionale, l’operaio «burlone» non aveva più diritto: il beneficio se l’era già giocato per «lo scherzo di Paperino». La Corte d’Appello di Brescia ha impugnato la sentenza davanti alla Cassazione. Roma ha dato ragione a Brescia. Il fascicolo è tornato indietro, a Cremona. E Fabrizio è tornato davanti al giudice dell’udienza preliminare: ha patteggiato sempre gli stessi 10 mesi di reclusione, senza più la condizionale. E ha chiesto di poter tramutare la pena detentiva nei lavori di pubblica utilità. Il giudice gliel’ha concesso. Vicenda chiusa, finalmente. «Non mi do pace. Per quello scherzo che ritenevo innocuo, mi è capitato tutto questo. Avevo anche risarcito con 1.000 euro Stefano. Mi dispiace», commenta l’operaio. Quando la sentenza di patteggiamento diventerà definitiva, l’avvocato Maugeri farà istanza al Comune di Cremona affinché l’operaio venga ammesso ai lavori di pubblica utilità. «Potrebbe lavorare nel verde pubblico oppure nella manutenzione delle strade, sperando che non incontri una 313. Battuta a parte, il mio assistito da nove anni non si capacita per quello che gli è accaduto, è dispiaciuto».
Nb: resta un problema che solo il legislatore può risolvere. Perché in Italia è possibile sottoscrivere contratti e abbonamenti semplicemente al telefono? L’operaio non è un truffatore, ovvio. La sua colpa è di aver fatto uno scherzo all’amico, che non ha gradito. Ma di truffatori che ingannano soprattutto i più fragili, gli anziani, con «consensi telematici» ai contratti, ce ne sono in giro a bizzeffe (non è il caso della De Agostini, sia ben chiaro). Bisognerebbe vietare il consenso telematico e tornare alla vecchia firma su carta o alla più evoluta Pec.
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