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SANITA' DEL TERRITORIO. LA PROTESTA

I medici di base: «Soffocati dalle carte»

Lettera inviata al quotidiano La Provincia e firmata da oltre una decina di professionisti cremonesi: «Vogliamo tornare a curare i pazienti, rivendichiamo tutele e diritti ma siamo soli»

Lucilla Granata

Email:

redazione@laprovinciacr.it

04 Marzo 2022 - 05:20

I medici di base: «Soffocati dalle carte»

Franco Fornaciari e Rosanna Tomaselli in prima linea

CREMONA - «Dopo aver affrontato a mani quasi nude la pandemia, rischiando, ognuno di noi, in prima persona, senza tutele per noi e per le nostre famiglie, dopo aver moltiplicato oltremodo la nostra attività, svolgendo spesso compiti non strettamente medici, vicariando talora enti chiusi o insufficienti, travolti dalla burocrazia, diffamati e purtroppo talora anche aggrediti, ci stupiamo nel trovarci quasi soli nella nostra richiesta di voler tornare a curare i pazienti, provando a ristabilire i giusti confini del ruolo del medico. C’è qualcuno dalla nostra parte?». È questo il passaggio cruciale di una lettera inviata al quotidiano La Provincia e firmata da oltre una decina di medici di famiglia cremonesi che hanno aderito l’uno e il due marzo scorsi allo sciopero nazionale proclamato dalle associazioni di categoria dei medici di base.


«Abbiamo aderito in modo autonomo perché lo sciopero è stato indetto da sindacati a cui non apparteniamo, ma abbiamo voluto comunque aderire perché c’è un’oggettiva criticità per quanto ci riguarda». È la dottoressa Rosanna Tomaselli a farsi portavoce di un malessere collettivo. «Al di là degli orari pesantissimi che abbiamo, la nostra lettera non voleva essere essere polemica, ma propositiva. Perché sembra che molti si stiano dimenticando di noi. Lavoriamo molto, ricopriamo ruoli che non ci toccherebbero, sembriamo ormai diventati segretari di enti, non medici. Ci costringono a fare cose che levano tempo all’attività medica. Sono figlia di un dottore e conosco bene questo lavoro, lo vedo fare da sempre. Ma sono state fatte scelte per ricoprire esigenze, tutte riversate sul medico di base che vanno a spersonalizzare il nostro mestiere. In un modo che non ci sembra più accettabile. Per questo ci siamo visti, ci siamo parlati e abbiamo deciso di scioperare. Per cercare di richiamare l’attenzione su questo problema. Lo sciopero ha sempre conseguenze su di noi, ma il problema è grande. Al di là di chi ha aderito o meno. La Lombardia poi è ‘tremenda’. Sceglie di trattare il medico di base come ‘pubblico’ quando le fa comodo e come ‘libero professionista’ quando non lo è. C’erano colleghi che hanno assistito al telefono i pazienti durante la pandemia, ma in tantissimi ci siamo esposti visitando decine e decine di polmoniti negli ambulatori e tamponando diverse carenze. Siamo inascoltati dalle istituzioni che continuano a scaricarci burocrazia, aumentando carichi di lavoro da segretari. Noi non ci dovremmo occupare di compilare moduli, ma dei pazienti. Perché questo leva tempo a loro. Vogliamo tornare a fare i medici e ad occuparci delle persone. E alle istituzioni tocca il compito di darci le armi per lavorare nel modo corretto. Anche la gente dovrebbe riconoscere il valore del medico di base per quello che è. Non un distributore di ricette, ma qualcuno che si vuole prendere cura dei propri pazienti. Dobbiamo garantire le prestazioni indispensabili quindi molti di noi non sono andati a Roma aderendo da qui alle manifestazioni, ma comunque il messaggio che vogliano mandare non è meno forte. C’è grande agitazione da parte dei medici di famiglia e se qualcosa non cambierà presto, sentirete ancora parlare di noi fino a quando non riusciremo a far sentire la nostra voce».

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