L'ANALISI
IL DRAMMA DI LOQMAN
21 Agosto 2021 - 06:30
CREMONA - Loqman Niazai, 32enne originario di Laghman, in Afghanistan, a Cremona ha trovato casa e lavoro. Fa il magazziniere dopo essere stato operaio e avere accettato diverse occupazioni. In patria, Loqman ha lasciato moglie e figlio di due anni. Ed è da loro che è volato non appena la situazione si è capovolta, annientando 20 anni di promesse e di investimenti – in denaro e in uomini – fatti nel tentativo di strappare l’Afghanistan al baratro di una nuova dittatura terroristica. Ora è là, bloccato anche lui, dietro al filo spinato dell’aeroporto di Kabul che è ormai off limits, sorvegliato a vista dai cecchini pronti a sparare. Di fatto impossibilitato a muoversi nonostante un visto regolare in tasca che gli consentirebbe di espatriare insieme ai famigliari e di mettersi al riparo, resta in attesa che qualcosa si muova. E che magari si apra una crepa da sfruttare nella cortina issata dai talebani.
«È disperato – racconta la presidente dell’associazione Immigrati Cittadini di Cremona, Rosanna Ciaceri, che lo ha conosciuto non appena ha messo piede in città attraverso i canali delle associazioni del territorio e della Caritas – . Le comunicazioni stanno diventando sempre più difficili, i contatti telefonici sono rari e la situazione sta rapidamente peggiorando. Quando l’ho sentito era molto spaventato e preoccupato soprattutto per la madre. Un ragazzo diverso da quello sicuro e solare che ho imparato a conoscere». Loqman ha fatto in tempo a inviarle una foto su WhatsApp: lo si vede dietro la rete che delimita la pista di atterraggio dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai in mezzo a un gruppo di disperati. Si ammassano alla rete e guardano tutti in una direzione: oltre i fori del reticolo, gli occhi conficcati sull’edificio bianco con la torre di controllo che sembra un fortino, un ultimo avamposto.
«Il tempo ci è nemico, serve muoversi subito e mettere in salvo Loqman e tutte le persone come lui, lavoratori afghani regolari nel nostro paese che hanno superato i controlli di Prefetture e Questure – afferma Ciaceri che, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, si sta muovendo e ha scritto una lettera al Ministero degli Esteri per chiedere di risolvere nodi burocratici che stanno diventando questioni di vita e di morte – . Non solo serve attivare corridoi umanitari, ma pensiamo anche a chi aveva ottenuto un regolare nullaosta ed era pronto a legalizzare i certificati presso la cancelleria consolare di Kabul dopo aver fissato un appuntamento. Tutto vanificato con la chiusura dell’Ambasciata italiana. Nel frattempo, si è creato il caos alle frontiere con il Pakistan, dove le famiglie si sono recate tra mille problemi nella speranza di poter comunque arrivare a Karachi o a Islamabad e da lì ottenere il visto per l’Europa o per Paesi che li lascino entrare regolarmente».
Adesso, la prima preoccupazione dei familiari afghani è la scadenza dei nulla osta e i passaggi amministrativi per il rilascio dei visti d’ingresso, pratica che richiede tempi lunghissimi e incerti. «Chiediamo essenzialmente due interventi – ribadisce la presidente, che ha predisposto una lista con i nominativi di chi aveva già ottenuto gli appuntamenti per le legalizzazioni presso la Cancelleria Consolare di Kabul –: la proroga di validità dei nulla osta, in scadenza o appena scaduti, come in tempo Covid, e il rilascio rapido dei visti, dopo una celere verifica documentale, comunque tale da consentire la partenza in sicurezza di uomini, donne e bambini». Obiettivo unico: «Dobbiamo salvarli». Adesso.
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