L'ANALISI
19 Luglio 2021 - 06:20
CREMA - Nel sangue, filtrato nell’intonaco, la chiave del giallo. Perché nella lettura delle «tracce ematiche», raschiate con cura ma scovate dai carabinieri del Ris su un muro dell’appartamento in cui Sabrina Beccalli ha trascorso le ultime ore di vita, sta il destino giudiziario di Alessandro Pasini. Ossia l’impiegato cremasco di 46 anni, da 11 mesi in carcere a Monza con l’accusa d’aver assassinato l’amica e vicina di casa (in via Enrico Martini), distruggendone il cadavere. Il 15 ottobre, verrà giudicato con il rito abbreviato al Tribunale di Cremona: un terzo di sconto sulla pena in caso di condanna, ma le sole indagini come elemento per decidere. E nel frattempo dalle carte dell’inchiesta, le uniche su cui si potrà basare il giudice per l’udienza preliminare Elisa Mombelli per emettere la sentenza, emergono particolari inediti su quanto scoperto nell’abitazione di via Porto Franco, nel quartiere di Castelnuovo.
In particolare, raschiature a oltre un metro d’altezza lungo il corridoio, conferma il legale di parte civile nominato dai famigliari di Sabrina, Antonino Andronico. Quei graffi sul muro, rivelerà il reagente impiegato dai Ris, celavano gocce di sangue. Che evidentemente Alessandro ha cercato di eliminare. Esattamente come ha fatto, lavando il pianerottolo. Ma non solo. Altre «evidenze ematiche» sono state riscontrate dietro il battiscopa del pavimento, sempre nel locale che dalla lavanderia porta all’ingresso.
Lui, il vicino di casa con vecchi guai per droga e rapina, sostiene che a stroncare l’operaia di 39 anni, madre di un ragazzo di 15, sia stata un’overdose e d’averla trovata a terra nel bagno, dopo aver consumato assieme cocaina ed eroina.
Mentre per la Procura, titolare del fascicolo è il Sostituto Lisa Saccaro, Sabrina sarebbe stata assassinata per un’avance sessuale respinta. Ma a rendere intricata la ricerca della verità, su quanto accaduto la notte della vigilia del Ferragosto scorso, c’è pure un rogo. Vale a dire quello che Pasini ha appiccato alla Panda dell’amica, con il cadavere di lei adagiato sui sedili posteriori, in un viottolo di campagna della frazione di Vergonzana.
«Sono stato preso dal panico...», si giustificherà all’indomani del fermo, durante l’interrogatorio di garanzia. Ma quelle fiamme hanno ridotto il corpo dell’amica in condizioni tali, da rendere necessaria la comparazione dell’arcata dentale con una vecchia radiografia, per avere la certezza si trattasse di lei. Unici traumi recenti, due microfratture: una alla mandibola e l’altra alla mascella. Ed entrambe, considerate le emorragie presenti nel tessuto cerebrale, risalirebbero a prima della morte, ha stabilito l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, incaricata dalla Procura. Tradotto dal linguaggio scientifico, significa che più in là la medicina non si può spingere. Come del resto l’analisi tossicologica ha sì stabilito che la 39enne avesse assunto cocaina nelle ore immediatamente precedenti il decesso. Ma ciò non sta a significare che sia stata uccisa da un’overdose, impossibile da provare — per ammissione dei periti — con gli elementi a loro disposizione.
Pasini, difeso dall’avvocato cremasco Paolo Sperolini, assicura d’averne trovato il cadavere davanti alla doccia. Facendone risalire al trascinamento le tracce di sangue che, nel primo dei due sopralluoghi condotti dai Ris, vennero riscontrate soprattutto sul pianerottolo della palazzina e lungo le scale. Solo nel corso del secondo «accesso», per dirla come gli investigatori, furono notate le raschiature.
L’imputato sostiene d’essersi trovato davanti Sabrina con il viso insanguinato per aver «sbattuto a terra». Ammettendo, da subito, d’aver distrutto col fuoco il corpo e cercato di cancellare le tracce, anche saturando di gas l’appartamento per farlo esplodere, salvo poi cambiare idea, chiudendo la valvola dello scaldabagno. A condurre i carabinieri sino a lui erano state le immagini di una telecamera, che lo aveva ripreso al volante dell’auto della 39enne il pomeriggio di Ferragosto in via Albergoni (a Vergonzana). Con Sabrina, Pasini era entrato nella casa dell’ex fidanzata, in via Porto Franco, poco prima dell’alba di quel sabato. E l’aveva fatto usando una copia delle chiavi, all’insaputa della compagna, in vacanza in Sicilia e con la quale aveva rotto.
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