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IL PUNTO

I figli tormentati di genitori narcisi

Il disagio giovanile è passato da difficoltà scolastiche a isolamento e aggressività. La ricerca del Criaf evidenzia un’emergenza educativa che richiede un impegno collettivo per affrontarne le cause profonde

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

09 Marzo 2025 - 05:30

I figli tormentati di genitori narcisi

Dalle difficoltà essenzialmente scolastiche ai problemi relazionali e all’aggressività come reazione a una società che non riesce a dare il giusto ascolto: ha fatto un preoccupante salto di qualità nell’ultimo quarto di secolo il fenomeno del disagio giovanile, che nelle sue estreme conseguenze si trasforma anche in rivolta verso istituzioni considerate sempre più lontane e atti di violenza gratuita in cui il malessere di molti dei nostri ragazzi si fonde con la situazione di crisi dovuta alla mancata integrazione di giovanissimi stranieri.

Questi ultimi, figli di famiglie arrivate in Italia alla ricerca di un futuro migliore, spesso vivono situazioni di marginalità sociale che li portano a non riconoscere le regole di esercizio e di convivenza di quella che non considerano una nuova patria ma una società ostile. Si genera così un’alleanza ‘a distruggere’. Lo abbiamo purtroppo dovuto verificare anche nelle ultime settimane a Cremona e sul territorio.

Mentre per queste bande di giovanissimi si tratta fondamentalmente di un problema di ordine pubblico che richiede interventi decisi da parte delle forze dell’ordine, il fronte più generale del disagio giovanile è un problema sociale. È una sfida che richiede un impegno collettivo e una risposta coordinata.

La salute mentale dei giovani è una responsabilità condivisa, ne va del futuro collettivo. Il quadro della gioventù cremonese è stato tracciato dalla ricerca del Criaf, Centro riabilitazione infanzia adolescenza famiglia, che ha intervistato ben 6mila ragazzi, equamente divisi tra cremonesi e bresciani. Una base molto significativa, dalla cui voce emerge chiaramente che siamo di fronte a un’emergenza educativa.

Da che mondo è mondo, lo spleen appartiene al mondo dei giovani. È uno stato d’animo caratterizzato da profonda malinconia, insoddisfazione e noia. Il poeta francese Charles Baudelaire descrive magnificamente in diverse poesie questa oppressione della vita quotidiana. Dalla malinconia all’isolamento, agli stati d’ansia e a reazioni emotive il passo è breve. Un passo accelerato dall’arrivo di Internet con tutte le sue applicazioni.

Il Criaf monitora la situazione da 25 anni, quindi il quadro è assai preciso. Dal 2004, spiega la responsabile Paola Cattenati, sono cambiati gli indicatori del disagio giovanile. Prima di quell’anno le problematiche riguardavano aspetti prettamente legati agli apprendimenti, alla scelta della scuola o all’essere in sintonia con il percorso di studi.

Dal 2004 in poi si è cominciato a registrare uno spostamento dei segnali di crisi. Nel 2012 si comincia a parlare di picchi di cyberbullismo. Sono gli anni in cui cominciano a diffondersi i social. I dati Istat mettono questa situazione in chiara relazione con la comparsa delle prime fotocamere nei telefoni. Una progressiva degenerazione che ha portato oggi a un quadro assai preoccupante. Sei ragazzi su dieci affermano di avere problemi di relazione, uno su quattro di vivere in condizione di ansia perenne. In percentuale, le difficoltà scolastiche arrivano solo dopo questi due fattori. Lo stato di progressiva solitudine è certificato dalla tendenza ad aumentare il tempo passato davanti a uno dei device disponibili piuttosto che stare in gruppo frequentando coetanei.

Il 40 per cento del campione passa dalle 4 alle 6 ore al giorno online: 4 maschi su dieci in attività di videogiochi e il 48 per cento delle femmine in attività di social network. Balza all’occhio che il 61,4 dei ragazzi del campione ha genitori che non impongono limiti di tempo all’utilizzo di Internet. Famiglie in cui gli adulti, spiega la ricerca, sono troppo presi da ritmi di lavoro eccessivi e preda di narcisismo gratificante. Famiglie spesso incapaci di dare un nome al tormento dei loro ragazzi. Tre giovani su dieci tra i 10 e i 21 anni dichiarano di non svolgere alcuna attività assieme ai genitori a causa di «distrazioni digitali».

Troppo facile dare tutta la colpa al Covid che ha solo accentuato il senso di isolamento: la quota di ragazzi che vedono tutti i giorni gli amici era già crollata prima della pandemia. Negli ultimi anni, in Italia, si è osservato un preoccupante aumento dell’aggressività tra gli adolescenti. Gli episodi di violenza tra giovani sono diventati più frequenti e diffusi, il 70 per cento degli studenti coinvolti nella ricerca ha assistito a episodi di bullismo o cyberbullismo, in tre su dieci dichiarano di esserne rimasti vittima. Abuso di alcol e sostanze stupefacenti sono diretta conseguenza.

I ragazzi lanciano il loro grido di allarme, chiedono comprensione e ascolto, invocano una presenza maggiore degli adulti in caso di necessità e vorrebbero godere di maggiore fiducia da parte loro. In cambio si mostrano spesso pronti a fare la loro parte nella società. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’aumento della percentuale di 14-19enni impegnati in attività di volontariato. Anche se siamo a poco meno del dieci per cento, è pur sempre superiore alla media della popolazione generale. Queste organizzazioni svolgono spesso un ruolo di surroga di genitori assenti e diventano nuovi luoghi di aggregazioni in sostituzione delle occasioni tradizionali di incontro, come per esempio gli oratori. Una fuga da famiglie che spesso considerano i figli come estensione narcisistica del genitore, il quale non può accettare di fallire in quanto buon genitore, non può e non deve deludere le aspettative in lui riposte. Come spiega Marco Rovelli, scrittore e docente di storia e filosofia nelle scuole superiori, «deve corrispondere a quelle attese, deve essere la testimonianza incarnata dei genitori dell’esser stato buon genitore. Di fatto non esiste come un sé autonomo, ma è uno specchio del genitore. Al figlio è implicitamente richiesto di far sentire agli adulti, narcisisticamente fragili, che tutto va bene. E quello che non possono dire, alla fine, lo dice il corpo, con le sue varie forme di sofferenza. È a questo proposito valido ciò che scriveva, in termini più generali, Gilles Deleuze: il sogno degli altri è sempre un sogno divorante che rischia di inghiottirci. Diffidate del sogno dell’altro, perché se siete presi nel sogno dell’altro, siete fregati».

E allora, come genitori, lasciamoli provare a volare i nostri ragazzi, nella consapevolezza però che dobbiamo essere la loro rete di protezione nell’inevitabile, e se vogliamo perfino educativo, momento della caduta.

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