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GLI INDUSTRIALI IN ASSEMBLEA

Stefano Allegri: «Riforme urgentissime. Governo, noi ci siamo»

Il messaggio forte e chiaro del presidente dell'Associazione Industriali: ecco il «manifesto» con le richieste e l’apertura all’esecutivo Meloni. «Patto per il sistema, l’incertezza il peggior nemico»

Andrea Gandolfi

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agandolfi@laprovinciacr.it

09 Novembre 2022 - 05:00

Stefano Allegri: «Riforme urgentissime. Governo, noi ci siamo»

CREMONA - Nessun politico al tavolo dei relatori, ma un ben preciso ‘manifesto’ per l’Italia e un’altrettanto chiara apertura di credito al governo Meloni nell’assemblea generale di Confindustria Cremona che, ieri mattina, ha incassato il tutto esaurito tra la platea di CremonaFiere per la relazione del presidente Stefano Allegri, l’intervento del manager (e presidente del Milan) Paolo Scaroni, intervistato da Jole Saggese di Class CNBC, e l’affascinante e tagliente lezione del filosofo Umberto Galimberti sull’uomo nell’età della tecnica. ‘Transizione al futuro’ era il titolo scelto per i lavori, aperti da Allegri rivendicando tra l’altro la natura apartitica, ma certamente non apolitica dell’Associazione Industriali, e dando atto al nuovo esecutivo «della disponibilità all’ascolto verso i corpi intermedi»; dopo che, in anni non troppo lontani, qualcuno aveva puntato esplicitamente ad un processo di disintermediazione.


«A fronte di questo atteggiamento del Governo, dico che noi ci siamo: pronti a collaborare e a portare le nostre idee — ha chiarito Allegri —. Per l’Italia, transizione al futuro vuol dire fare le riforme. In questo momento abbiamo la prospettiva di un governo stabile, con caratteristiche che possono permettergli di durare. E non è scontato per un Paese come il nostro, nel quale i governi - dal 1948 ad oggi - sono rimasti in carica mediamente 414 giorni a testa. La stabilità è un fattore fondamentale per poter pianificare e realizzare riforme efficaci, instaurare un confronto proficuo con la società e soprattutto dare vita ad una prospettiva di sviluppo duratura. La stabilità, specialmente in un’epoca di incertezze e paure come quella attuale, è la risposta che permette di insistere sul fattore economico e in particolare sul consolidamento del tessuto produttivo. L’incertezza, al contrario, è il peggior nemico dell’uomo oltreché un consigliere inaffidabile. Oggi abbiamo una grande occasione e facciamo il tifo, perché in un Paese gattopardesco si riesca finalmente a fare le riforme che servono. È il tempo di una politica alta, di scopo e non di interessi; non dei diritti acquisiti ma del merito, e nella quale si restituisca il giusto valore alle competenze. Abbiamo bisogno di persone competenti e capaci, soprattutto nelle posizioni delicate».


È uno dei momenti più delicati nella storia del Paese: «Di fronte abbiamo il nostro futuro e non ci è permesso sbagliare direzione», ha sottolineato Allegri, indicando nell’inflazione all’11,9% una delle zavorre più pesanti e in una «politica energetica seria» un traguardo irrinunciabile. Eppure, «per colpa di una parte minoritaria del Paese si è detto ‘no a tutto’: prima a trivelle, gasdotti e termovalorizzatori, e adesso ai rigassificatori. Abbiamo rinunciato ad estrarre gas dai nostri giacimenti preferendo importarlo dall’estero; pur sapendo che viene estratto con tecnologie più inquinanti delle nostre, sulle quali non abbiamo nessun controllo. Tutto questo evidenzia una falsa coscienza ecologica, perché, indipendentemente da dove abitiamo, l’atmosfera terrestre è una sola».


Ormai «si è diffusa da tempo la sindrome Nimby (Not inj my back yard, non nel mio cortile), cui hanno contribuito forze politiche appartenenti ad ambienti pseudo progressisti che, attente al solo consenso elettorale, decidono di opporsi o nel migliore dei casi di non approvare progetti, o di posticiparli a mandati futuri». E «seguendo questa linea di pensiero, l’Italia ha detto ‘no’ al nucleare; abbandonando anche gli investimenti in ricerca relativi a questa forma energetica non rinnovabile ma a zero emissioni».


Dunque, occorre una ‘politica energetica seria, e una concreta attenzione alle nuove generazioni. Siamo un Paese che «invecchia» e patisce il crollo della natalità (da oggi al 2031 si stima una perdita di un milione e mezzo di abitanti). La rotta da seguire: «Dobbiamo fare qualcosa e farlo subito, perché anche un processo di inversione richiede almeno vent’anni per dare i primi segnali. Il problema demografico deve essere una priorità del nuovo governo». Così, servono riforme. Perché «le difficoltà italiane nascono dalla mancanza di riforme strutturali e dall’eccesso dei debito pubblico generato per acquisire o mantenere consensi: solo negli ultimi dieci anni è salito dal 120% al 150% del Pil, molto di più rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. Ed è cresciuto il deficit, nonostante una pressione fiscale maggiore della media Ue».


Il presidente di Confindustria Cremona si è detto d’accordo «sulla necessità, in determinate fasi, di un ‘debito buono’, finalizzato cioè a sostenere la crescita come nel caso del Pnrr. Non siamo invece d’accordo — ha aggiunto con una chiara allusione anche al reddito di cittadinanza — con un ‘debito scellerato’ legato ad una spesa senza logica, fatta do bonus o di facili erogazioni di redditi di sostegno non collegati al lavoro e invece molto utili al momento elettorale. Questo approccio non ha nulla a che vedere con una seria lotta alla povertà - che invece sosteniamo con forza - e ha come unica conseguenza la creazione di un’eredità che non lascia scampo alle nuove generazioni».


«Oggi però siamo di fronte ad un’altra forma di debito; quello ‘necessario’, perché in questa fase è necessario salvaguardare imprese e famiglie». E se è vero che attualmente il debito pubblico italiano sfiora i 3 mila miliardi, è altrettanto vero che «dobbiamo fare di tutto per renderlo sostenibile. Certamente non incrementando le tasse quanto piuttosto la crescita, ovvero il denominatore del rapporto fra deficit e prodotto interno lordo». «Da questo concetto e da questo obiettivo» nasce il richiamo «ad un patto per il sistema manifatturiero ed imprenditoriale in generale, perché se anche lo Stato farà la sua parte possiamo essere decisivi nel dare un’accelerazione a questo denominatore. Le imprese avranno la loro ennesima transizione, ma ormai evoluzioni o rivoluzioni sono - per noi imprenditori - all’ordine del giorno. Ciò che mi fa essere orgoglioso di appartenere alla nostra categoria, è che a noi del ‘solo immediato’ interessa poco; noi viviamo di programmazione, immaginiamo il futuro, progettiamo sempre nel medio-lungo periodo, non guardiamo il dito perché vediamo sempre la luna».


Gli imprenditori hanno una sola direzione: «La crescita. Siamo la forza silenziosa di questo Paese, il baluardo sui cui la società italiana - soprattutto quando ogni cosa sembra perduta - può contare sempre. Anche se pochi ce lo riconoscono (ma chi se ne importa?) siamo consapevoli del nostro ruolo. Se le imprese non ci fossero più, questo Paese non esisterebbe per come lo conosciamo, ovvero una potenza mondiale. Senza industria l’Italia sparisce, e questo non dispensa lo Stato dal fare la sua parte: intervenendo su burocrazia e tempi della giustizia, conoscenza, concorrenza, infrastrutture; sul fisco come stimolo agli investimenti e non come semplice strumento per fare cassa. Interpretando il lavoro come affermazione dell’uomo e non come mera occupazione. Riformando il sistema legislativo in un insieme di regole semplici, chiare e non subordinate a interpretazioni personali. Occorre insomma che si radichi la cultura delle riforme come bene collettivo».

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