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INDUSTRIALI IN ASSEMBLEA

Umberto Galimberti: «Nell’età della tecnica l’uomo non ha potere»

Il filosofo e psicanalista traccia la parabola del tramonto dell’Occidente: «Il calcolo annichilisce l’emotività delle persone, bisogna dare spazio ai giovani»

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

08 Novembre 2022 - 19:31

Umberto Galimberti: «Nell’età della tecnica l’uomo non ha potere»

CREMONA - «Continuiamo a pensare che la tecnica sia uno strumento nelle mani dell’uomo, ma oggi la tecnica è mondo». Da qui è partito il filosofo Umberto Galimberti, stamattina all’assemblea dell’Associazione Industriali, e ha proposto la sua lectio magistralis sull’uomo nell’età della tecnica. «La tecnica era un mezzo quando era modesta, ovvero quando i suoi effetti erano prevedibili e governabili dall’uomo. Oggi pensare alla tecnica come strumento è assurdo».


Il filosofo ha inanellato una lezione — 48 i minuti di argomentazione serrata — che ha offerto alla platea l’orizzonte in cui ci muoviamo: non senza l’inquietante prospettiva di essere tutti funzionari di un sistema che si autogoverna grazie alla tecnica e annulla il lato irrazionale ed emotivo dell’uomo, in nome dell’efficienza, della produttività e dell’accelerazione dei tempi. La tecnica come strumento di dominio sul mondo ha le sue radici nella cultura cristiano giudaica: «Dio conferisce ad Adamo il dominio sulle creature della terra — ha spiegato il filosofo —. Il Cristianesimo ha influenzato il nostro modo di pensare, anche dove meno ce lo aspettiamo. Il Cristianesimo concepisce il passato come il peccato originale, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. La scienza pensa nello stesso modo: il passato è ignoranza, il presente, ricerca, il futuro è progresso. È un Cristianesimo laicizzato. L’esito di questo agire sta in quanto Robert Wilson ha osservato: l’uomo è diventato la forza geofisica più distruttiva, più di tutte le distruzioni messe in atto dalla natura. Oggi questa è un’evidenza. Tutto questo è un portato della cultura giudaico cristiana».

Altro diceva la cultura greca, che leggeva l’uomo inserito nella natura, per questo quando compare la tecnica i greci si inquietano, ma la risposta è nel Prometeo di Eschilo in cui si legge: «La tecnica è di gran lunga più debole delle leggi che regolano la natura». Ecco: oggi questo non è più così e l’excursus di Galimberti arriva alla nascita della scienza moderna che «agisce con l’obiettivo di manipolare la realtà. La scienza formula ipotesi, le verifica con esperimenti e se questi funzionano assume quelle ipotesi come leggi di natura. I vaccini li abbiamo ottenuti così, con il sapere oggettivo e condiviso della scienza. Poi qualcuno vi vuole anteporre la propria visione personale. L’uomo è diventato signore e padrone del mondo. L’essenza dell’umanesimo è allora nella scienza».


Tutto questo non basta ancora per arrivare allo strapotere della tecnica, che inizia a definirsi quando la vera ricchezza si sposta dai beni agli strumenti in grado di produrre sempre più beni. «Se il denaro aumenta fino a diventare la condizione imprescindibile per soddisfare bisogni e sogni, lo strumento, il denaro, diventa fine — spiega il filosofo —. Se applichiamo questo ragionamento alla tecnica, condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, la tecnica diventa il primo scopo per realizzare tutti gli scopi». E ciò finisce con l’influire su politica ed etica e alla fin fine sul ruolo dell’uomo nel mondo, dominato dalla tecnica.


Galimberti si interroga sulla politica, regina delle tecniche: la politica sa e decide perché le cose si devono fare. «Oggi la politica non può decidere, perché il potere decisionale è passato all’economia — afferma —. Le decisioni vengono prese dall’economia, ma l’economia opera i suoi investimenti guardando alle risorse e alle novità tecnologiche. A questo punto la decisione passa alla tecnica che non dischiude orizzonti di senso, ma si limita a funzionare e a confermare la sua potenza in maniera afinalistica». A cadere sotto i colpi della potenza della tecnica è anche l’etica che regola i nostri comportamenti: l’etica delle intenzioni cristiana guarda all’uomo, ma nell’età della tecnica «è più importante conoscere gli effetti di ciò che si fa e non le intenzioni per cui si agisce — spiega il filosofo —. Non funziona più neppure l’etica kantiana che voleva l’uomo come fine e non strumento. Neppure l’etica della responsabilità che chiede di valutare gli effetti del nostro fare ha più valore. La scienza agisce per tentativi: i fini raggiunti dalla scienza sono risultati fortunati di procedure, ma siccome questi effetti non sono prevedibili non c’è etica che li possa regolare».


E poi l’affondo del filosofo: «La tecnica è la forma di razionalità più alta mai raggiunta dall’uomo. La tecnica ha l’obiettivo di raggiungere il massimo degli scopi con il minimo possibile di mezzi. La tecnica non è antropologica, riduce l’uomo a mezzo. Se questa razionalità tecnica diventa il modo di pensare di tutti, allora la parte irrazionale dell’uomo non ha più modo di esprimersi. L’età della tecnica è nata nell’epoca nazista». E il riferimento va alle risposte date dagli aguzzini nazisti dei lager, che di fronte allo sterminio di milioni di esseri umani, rispondevano che non solo eseguivano degli ordini, ma che la loro preoccupazione era che tutto funzionasse. «Nell’età della tecnica si ragiona così — dice potente Galimberti —. Il rischio è quello di frequentare solo il pensiero calcolante, senza un pensiero alternativo, con l’uomo che ridotto a calcolo scompare». Applausi. Inquieti.

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