L'ANALISI
05 Luglio 2023 - 05:10
CREMA - Al periodo tra marzo e giugno dell’anno scorso risalgono gli arrivi in massa in Italia e anche nel Cremasco dei profughi ucraini in fuga dalla guerra. Una scia di morte e distruzione. I lutti che hanno dilaniato le famiglie, la disperazione per aver perso casa e lavorosotto i bombardamenti, ma anche storie di speranza, rinascita e accoglienza. Il territorio, in particolare la diocesi, con le sue parrocchie, diede una grande mano: 270 i nuclei familiari, in stragrande maggioranza donne con uno o più figli, accolti tramite la Caritas. Almeno 500 persone. I mariti e compagni non potevano espatriare, essendo in corso la guerra con la Russia era loro vietato per l’obbligo di arruolamento nell’esercito. Oggi si può dire, confortati dai numeri della Caritas, che questa grande mobilitazione solidale abbia dato ottimi frutti. Il sistema ha funzionato e l’integrazione di queste famiglie è sempre più una realtà.
«La stragrande maggioranza delle donne ha trovato lavoro nel territorio, soprattutto nel settore cosmetico e in seconda battuta come badanti o nelle imprese di pulizie – chiarisce il direttore della Caritas diocesana Claudio Dagheti –: i bambini e i ragazzi sono ormai stabilmente inseriti nelle scuole cremasche, e vivono la realtà locale come tutti gli altri giovani. Direi che il processo di integrazione è ottimamente avviato, con l’aiuto di molte comunità e volontari, la collaborazione di associazioni e enti pubblici. Un lavoro di squadra. Teniamo anche conto dell’importanza dei ricongiungimenti familiari, avvenuti nel corso dei mesi, quando i mariti e papà sono riusciti ad arrivare in Italia».
La comunità ucraina, già presente da anni nel Cremasco, ha avuto ovviamente una grande parte in questo sistema di accoglienza. «Come Caritas, in strutture di riferimento delle singole parrocchie diocesane, inizialmente ospitavamo circa 50 famiglie – prosegue Dagheti –: gli altri arrivi avevano come punto d’appoggio parenti o conoscenti già residenti qui. In diversi casi abbiamo fornito aiuti economici e materiali, proprio per consentire a chi ospitava i rifugiati di poter affrontare le maggiori spese. Progressivamente, mano a mano che le donne e poi gli uomini hanno trovato un lavoro, la situazione si è stabilizzata. Diversi di loro oggi si possono permettere una sistemazione indipendente e dunque non hanno più bisogno di sostegni di questo tipo. E’ stato molto importante anche il fatto che molti abbiano imparato rapidamente la lingua».
Gli arrivi sono pressoché terminati ormai da mesi, mentre i rientri in Ucraina sono pochi.«I nostri numeri non sono ovviamente esaustivi delle presenze sul territorio cremasco – conclude Dagheti – ma riguardano solo i casi che abbiamo seguito direttamente. Altri potrebbero essere arrivati la scorsa primavera-estate e nei mesi successivi in maniera autonoma, appoggiandosi a chi era già qui. Di sicuro coloro che negli ultimi mesi hanno deciso di rientrare sono molto pochi». Comprensibile, non essendoci certezze su una possibile conclusione del conflitto. Chi 15 mesi fa era giunto nel Cremasco scappando dalle bombe l’aveva detto subito «Non abbiano più nulla in Ucraina. Viviamo il presente: progetti a lungo termine purtroppo non possiamo farne».
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