L'ANALISI
18 Giugno 2022 - 19:55
CREMONA - L’agricoltura italiana, quella padana soprattutto, sta vivendo il suo momento più cupo dai tempi del Dopoguerra. Il motivo? La congiuntura sfortunata, per usare un eufemismo, di burocrazia europea soffocante, cambiamento climatico inarrestabile e rifiuto di guardare alle soluzioni transgeniche. Lo sa bene Marco Aurelio Pasti, presidente di Confagricoltura Venezia, che da tempo lancia allarmi per lo più inascoltati dalla politica: «Contro gli Ogm e le biotecnologie 20 anni di disinformazione e terrorismo. Difficile oggi far cambiare idea alla gente ma indispensabile. Asia, Africa e Sud America ci surclasseranno. Il futuro? Oggi, con la siccità, le alternative sono puntare sulla ricerca o, per noi agricoltori italiani, scomparire dalla faccia della terra».
Il 2022 passerà agli annali dell’agricoltura come uno degli anni più difficili e terrificanti di sempre. Contro gli imprenditori e operatori del settore rema tutto: Bruxelles, il clima, l’oscurantismo tecnologico. Ma Pasti non ci sta a gettare le armi. La speranza è flebile ma esiste: «Quest’ultima Pac prosegue nel segno di un cammino in cui il seminativo lascia spazio al ‘pregio’, vedi vitivinicolo, e al basso impatto ambientale. Bello a sentirsi, ma in cosa si traduce? Nella realtà che parla di 15 anni in cui la produzione italiana di mais è calata. Oggi, rispetto al ‘92, praticamente dimezzata. Dai 900 a ettaro di allora, come sostegno, ai 170-180 che percepiremo l'anno prossimo. E gli agricoltori lavorano in queste condizioni generali senza nemmeno poter far fronte alle emergenze ricorrendo alla scienza». Sì perché, per esempio, la Piralide, sostanzialmente una farfalla vorace di mais e spesse volte vettore di malattie e batteri, in Italia non si può contrastare.
«E questo nonostante le colture resistenti al lepidottero in questione – spiega amareggiato Pasti – siano stati testate nel 2005 a Pavia, con grande successo, e pure approvate dall’Ue». Ma non è finita. Chi pensa che l’arretratezza italiana nell’ambito della scienza applicata all'agricoltura sia di un paio d’anni, forse dieci, massimo venti, sbaglia di grosso: «Il mais resistente all’alimentazione, alle micotossine e afrotossine della Piralide è solo il punto di partenza – prosegue il numero uno della Laguna –, in realtà la biotecnologia affronta problematiche molto più, vedi l’emergenza siccità. Anni fa, in Argentina, è stato creato un tipo di soia e uno di frumento resistenti alle alte temperature, anche in condizioni di scarsità irrigua, utilizzando un gene del girasole. Un gene similmente positivo è stato ricavato dall’Agave».
Insomma, le soluzioni ci sono eccome. Dunque, la domanda sorgerebbe spontanea a chiunque. Perché non si utilizzano? La risposta, sfortunatamente, è tanto banale quanto scontata: perché la gente ha paura. «Se oggi avessimo già il mais resistente alla Piralide la produzione dell’anno sarebbe il 15% superiore. Ma è stato raccontato che gli Ogm, la biotecnologia e la transgenesi per adattarsi all’evoluzione climatica solo il male, che hanno solo aspetti negativi. Non è così, anzi. Vero è che dobbiamo migliorare i meccanismi di gestione dell'acqua, l’utilizzo degli invasi e che abbiamo un’emergenza da gestire nell'immediato ma serve anche un piano e una programmazione a lungo termine. Il ‘no’ a prescindere alla biotecnologia, per paura ipotetica peraltro e non giustificata nei fatti, pregiudica non solo l’aspetto produttivo ma anche quello della ricerca. Chi studia e non può materialmente applicare le sue conoscenze scappa all'estero e l’Italia perde menti brillanti, restando indietro una volta di più. Ne vale la pena? Dico la mia per contrastare la controinformazione. Parliamo meno di tecnica, spieghiamo di più necessità e vantaggi. La ricerca è il futuro ma anche la nostra unica salvezza».
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