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Amarcord di sapori e tradizione

Lambrusco, noster Champagne. L’incontro con Zavattini e quei simposi alle ‘Cantine Lini’

Quell’idea nata a Cànolo di Correggio che portò alla vinificazione in bianco del Lambrusco e alla spumantizzazione

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

16 Settembre 2013 - 17:06

cesare zavattini
Nel luglio del 1976, reduce da un corso di perfezionamento in Microbiologia enologica, effettuato presso la Scuola di Viticoltura ed Enologia di San Michele all’Adige, allora diretta dall’illustre professor Margheri, mi recai, come spesso avevo consuetudine fare, presso la Cantina Lini, a Cànolo di Correggio. L’ingegnere Lando Lini è stato mio grande amico e tecnico raffinato nell’arte enologica. «Lando, gli dissi, vorrei richiamare la tua attenzione su questa osservazione, guarda, questi sono i dati analitici di un vino base per produrre Champagne, confrontali con questi altri dati analitici di un vino base per produrre Lambrusco rosé, vedi? Sono quasi sovrapponibili… Cosa ne diresti di vinificare una certa quantità di Lambrusco in bianco (cioè ottenuto da mosto di Lambrusco a cui le bucce, sono state separate immediatamente dopo la pressatura) e poi procedere a spumantizzarlo secondo il metodo champenoise? » L’idea piacque molto, alla vendemmia fu vinificato in bianco una certa quantità di Lambrusco e nel marzo dell’anno successivo, furono preparate ed accatastate, 5.000 bottiglie di questo ‘spumante sperimentale’. Si provvide poi ad acquistare le pupitres per il remuagee tutta l’attrezzatura necessaria per completare il ciclo, compreso un apritappo per tappi a corona amanico lungo, che diventerà famoso per l’uso che se ne fece, infatti previo uno scoppio sordo, si poteva aprire la bottiglia allontanando il sedimento che si era raggrumato nell’imboccature della bottiglia stessa, effettuando cosi un dégorgement a la volée. (Nota: le bottiglie vengono riempite, con il vino preparato, poi chiuse con un tappino interno di plastica detto bidule, ed infine serrate ermeticamente con un tappo a corona) Si preparò anche un capitolato di produzione, per seguire la storia della partita, secondo il quale la fermentazione, la maturazione e l’affinamento, dovevano durare 24 mesi, con prelievi per i controlli di 5 bottiglie di campionatura ogni 40 giorni. Le cose poi, come spesso accade, andarono diversamente. Con la scusa del controllo degustativo, il suddetto apribottiglie cominciò ad essere impiegato sempre di più per fare felici amici curiosi ed amici degli amici, si può dire che non vennero i Re Magi,ma da Cànolo di Correggio, passarono tutti e si fermarono ad assaggiare. Dopo due anni di eleganti bevute, erano rimaste poco più di 700 bottiglie, che furono regolarmente degorgiate a confezionate. Io ne possiedo ancora una di ricordo, con una dedica molto sintetica : «A Carlo da Lando» Visto il successo ed il gradimento crescente, l’Ing. Lini aveva iniziato nel 1978 a produrre quantità crescenti del ‘Noster Champagne. In occasione di una delle solite riunioni con gli amici, che avvenivano di sabato, ebbi occasione di fare un incontro molto gradevole.. I simposi presso le Cantine Lini si svolgevano in una taverna con imuri rivestiti di fotografie, diplomi di partecipazione a mostre e fiere, poesie in italiano od in dialetto reggiano, ritratti a schizzo fatti a biro ,quadri con dediche, cavatappi di tutti i tipi e simboli di Confraternite. Posso dire che, tra tutti questi ricordi, ora vi è anche un mio memoriale sulla storia del ‘noster champagne’. Qualche anno fa, in occasione di un incontro a Cànolo, presente il cavaliera Boselli, presidente della Camera della Moda, Anita Lini , attuale titolare emoglie dello stilista Angelo Marani, mi chiese, con insistenza, di scrivere la storia. Consegnai anche ad Anita una delle bottiglie superstiti di quel primo storico lotto ,che dopo circa trent’anni poté così ritornare alla casa natia. Nel mezzo della taverna, paralleli c’erano due tavoli di noce, in stile fratino, pesanti e possenti, attorno ai quali erano posizionate delle panche e delle sedute rustiche. Ebbene ‘amarcord’, che quel sabato entrai nella taverna un po’ in ritardo, i convenuti parlavano fra di loro allegramente. 
Sul tavolo c’erano due mezze formedi grana,numero di casello rigorosamente basso,perché la numerazione del Parmigiano-Reggiano inizia dai caselli di collina, ed in collina, si sa, l’erba è più pregiata e aromatica, in più, il grana scelto era stato prodotto e stagionato in un casello dove il latte conferito è prodotto solo da vacche rosse reggiane e cioè da un ceppo podolico, proveniente dall’Europa centrale e pervenuto nella pianura padana in seguito alle invasioni barbariche. Il latte di Reggiana, rispetto a quello di tutte le altre razze, è stato dimostrato scientificamente, ha migliori caratteristiche per la trasformazione in Parmigiano-Reggiano. Vi era inoltre un tagliere su cui era stata deposta un enorme mortadella, il cui ricordo del profumo ancora oggi mi illanguidisce, si consumava a cubetti che si scioglievano letteralmente in bocca. Questa autentica opera d’arte gastronomica, l’aveva portata Manubrio così chiamato per i suoi baffi di forma particolare. Egli, altri non era che Veroni, uno dei titolari del rinomato Salumificio F.lli Veroni di Correggio, il quale da valente gourmet istruiva noi, suoi ascoltatori: «Ricordate, mortadella da ‘murtatum’ (mortaio), carne di maiale, solo tagli di qualità,finemente tritata in mortaio,mescolata con lardo dolce, leggermente aromatizzata insaccata e cotta….il nome deriva dal mirto, le cui bacche erano usate per aromatizzare….Senza cultura ed educazione , a tavola non c’è piacere». Tra i flutes e le bottiglie emergeva su di un trespolo un ‘persiutto’ di Parma da meditazione, ognuno andava ed affettava amano la sua fette, le poneva in un piattino e si ritirava a meditare, alzava la fetta verso l’alto, la guardava e se la calava lentamente in bocca, soffermandosi un attimo davanti alle narici. Anche in questo caso Manubrio istruiva i commensali. Aveva controllato la coscia,e come era posizionata la testa del femore. «Per noi intenditori solo la coscia destra, perché il suino decubita sulla parte del cuore, e cioè sulla parte sinistra, e lì le carni diventano più stoppose……». Quante cose ho imparato dal caro Manubrio! Quando entrai, tutti mi salutarono alzando i calice, tipo brindisi della Traviata. Feci un veloce giro di tavolo, con il coltello a forma di lancia, staccai la mia scaglia di grana, ‘Mama’ che era il farmacista del paese, mi offrì un flute del ‘noster champagne’ emi sussurrò quasi dovesse confidarmi un delicato segreto: «L’è semper più bòun». Mama,che era un burlone, poco primo dimorire, ebbe un pensiero gentile per me. Mi fece pervenire un ampollina di aceto balsamico della sua acetaia di famiglia con dedica: «Edmondo dall’oltre tomba». Lui che alle riunioni indossava al collo, trattenuto da una catena d’argento, un tastevin a formadi anfora di cristallo di Bohemia della capacità di un litro, tanto per potersi giustificare con la moglie alla quale, quando lo accusava di avere ecceduto con il vino, rispondeva: «Ma va là, ho bevuto solo tre bicchieri» .Ebbene Mama, alla fine, seppe scherzare anche di fronte alla morte. E fu così che, in un ambiente amichevole ed informale,mi avvicinò un personaggio che non dimenticherò mai: Cesare Zavattini. Teneva in una mano un calice, dove il perlage finissimo saliva verso l’alto con leggerissime e sinuose volute. Mi disse: «ciao sono Cesare….mo sei stato ben bravo a fare un Lambrusco così particolare, l’ho sempre pensato: solo nelle annate migliori, lo Champagne può essere paragonato al nostro Lambrusco…» mentre parlava, scandendo le parole ,lo osservavo, era calvo, con le sopracciglia a cespuglio, che si muovevano seguendo il ritmo della sua voce. Portava occhiali grandi ,forse pesanti, che scivolavano un po’ sul naso, aveva le labbra sottili, un viso tondo,fresco ed un’espressione da bambino felice. Gli risposi: «Piacere di conoscerti, Maestro » E brindai con lui al nostro incontro.
Carlo Bertolini
Agronomo&Enologo
carlobertolini@libero.it
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