L'ANALISI
31 Luglio 2025 - 05:25
CREMONA - «Quando ho preso l’aereo e ho lasciato il Brasile, ho sentito dentro di me un vuoto incredibile». Nove mesi dopo, Laura Damiani, ragazza cremonese, classe ’98, è tornata a casa. Ma «il Paese dai grandi contrasti», come lei stessa l’ha definito, le è rimasto nel cuore.
Una terra nella quale la ragazza ha vissuto un’esperienza da volontaria in una scuola vicino a Fortaleza, città nel Nord-Est del Brasile, che le ha insegnato e lasciato tanto.
Per Damiani quella del Terzo settore è una componente molto importante nella sua vita. Lei che è già volontaria nell’associazione di Cremona ‘Drum Bun’ e che concluso il ciclo di studi all’università ha collaborato per 6 mesi con una Ong e una scuola a Porto, in Portogallo.
In direzione Fortaleza è partita invece lo scorso settembre nell’ambito del progetto del Servizio Civile ‘Caschi Bianchi per l’educazione e la formazione in Brasile’. «Ho lavorato in una scuola dove bambini tra i 6 e i 13 anni con alle spalle una situazione familiare di fragilità e disagio studiano e vivono dal lunedì al venerdì», racconta.
L’istituto, ‘Casa da Criança’ (in portoghese, ‘Casa dei bambini’) è gestito da Angelo Faustini e Lieta Valotti, marito e moglie originari di Brescia che da circa una quartina d’anni si sono trasferiti nel nord-est del Paese sudamericano e gestiscono la scuola. L’obiettivo è quello di dare a questi ragazzi un futuro, con un’educazione di qualità. Il rischio altrimenti è quello di finire nel giro della criminalità delle ‘favelas’ (o meglio, ‘comunidades’), i quartieri più poveri delle città da cui provengono la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che vivono a ‘Casa de Criança’.
Damiani racconta quali erano i suoi compiti da volontaria: «Io e gli altri miei colleghi stavamo con questi ragazzi quasi tutto il giorno, dalla mattina alla sera. E abitavamo lì con loro, al secondo piano della scuola. Li aiutavamo a fare i compiti, a svolgere i loro impegni quotidiani, organizzavamo tornei di calcio e altre attività per il pomeriggio e per la sera. Facevamo da traduttori per le famiglie italiane che adottano bimbi a distanza e mandano loro lettere. Tante cose, insomma. Durante il fine settimana, invece, ne approfittavamo per visitare la città di Fortaleza e la regione».
Con alcuni di questi ragazzi si è creato, durante questi 9 mesi, un legame speciale, per certi versi unico: «Il primo giorno che sono arrivata a scuola sono stata letteralmente travolta da un’onda di felicità tumultuosa. Quasi tutti i 120 bambini che vivono e studiano lì hanno passato momenti davvero brutti nella loro vita e hanno bisogno quindi di tanta attenzione, affetto e di una presenza costante. Ammetto che ci sono stati momenti difficili, ma in generale è stata un’esperienza molto intensa e formativa». Questi ragazzi hanno lasciato tanto a Damiani, ma anche lei spera di aver donato loro qualcosa: «Il fatto che esista un’alternativa alla violenza, alla rabbia, agli spintoni e alle parolacce con cui magari sono stati abituati a crescere».
Il Brasile, Paese dai grandi contrasti, conosciuto nel mondo soprattutto per il calcio, le spiagge, il carnevale, la musica e il calore dei suoi abitanti, ha cambiato profondamente la volontaria: «Sono una ragazza a cui piace pianificare e organizzare tutto nel dettaglio. Fortaleza mi ha insegnato però che ciò non è sempre possibile e bisogna adattarsi velocemente ai cambiamenti dell’ultimo minuto. Ho fatto mio questo modo di fare e da quest’esperienza ho imparato tantissimo sia da un punto di vista umano, che nella gestione dei bambini che nell’approccio ai problemi della vita».
Tra tutti i momenti vissuti, Damiani ricorda, con particolare affetto, la felicità dei bambini nel giorno del loro compleanno: «Aspettano quel momento dall’inizio dell’anno — dice —. Noi mandavamo loro un invito e organizzavamo una cena con alcuni piatti tipici italiani».
Trascorsi i nove mesi, l’addio non è stato facile. La partenza è stata dolorosa, ma per Laura non si è trattato di un addio, bensì di un arrivederci: «Mi piacerebbe tornare in Brasile un giorno — conclude —. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere tanto e che mi servirà anche in futuro per gli altri progetti di volontariato a cui aderirò».
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