L'ANALISI
02 Giugno 2025 - 05:25
CREMONA - In queste stanze c’è un pezzo di Giro d’Italia, ci sono i suoi eroi. Come Fausto Coppi e Gino Bartali, immortalati nella grande fotografia in bianco e nero, una delle tante che tappezzano le pareti, seduti uno accanto all’altro. Tranquilli, sereni, rilassati, il primo sembra dire qualcosa al secondo.
«Non erano appoggiati a un muro anonimo, ma a quello che c’è ancora in viale Trento e Trieste, avevano partecipato a una competizione in città», precisano con orgoglio i ‘padroni di casa’. Una casa, quella gestita da un ristretto gruppo di appassionati, aperta da tempo, ricca di storia e capace di regalare emozioni, eppure poco conosciuta, quasi dimenticata: è la Collezione dei cimeli dei ciclisti cremonesi. Un’idea di Luigi Triacchini e di alcuni suoi amici. Dal dicembre 1982 il prezioso tesoro era conservato presso la saletta adiacente al santuario della Madonna della Strada di Grontardo ma, nel 2013, ha trovato una nuova sede, più ampia e visitabile, nei locali comunali, messi a disposizione dall’allora sindaco Oreste Perri, all’ingresso della cascina che ospita il Museo della civiltà contadina, al Cambonino.
Quella del ciclismo cremonese è una vera epopea. Le prime gare risalgono alla fine del 1800: gare in linea, di velocità sui duemila-tremila metri e in pista disputate su una ciclabile in terra battuta usata anche per le corse dei cavalli. E già nel 1904 una grande vittoria con Gino Mascetti che conquista il titolo italiano dietro stayer.
«Da quel momento in poi, una lunga striscia di successi», dicono Angelo Ongari e Giovanni Gorini, tra i pilastri, con Aurelio Guarneri e Mario Pedretti, dell’associazione ciclisti cremonesi, fondata nel 1999, alla quale si deve il merito di aver messo insieme questo piccolo miracolo, questo presidio della memoria.
In una delle due sale, quella che accoglie il pubblico, sono in mostra alcuni dei pezzi più pregiati come le biciclette di Alfo Ferrari e Giuseppe Soldi, campioni del mondo rispettivamente nel 1947 in Francia (prova dilettanti su strada) e nel 1965 in Spagna (cronometro a squadre dilettanti). Spicca anche quella di Pierino Favalli, trionfatore di tre Milano-Torino, una tappa al Giro e tante altre sfide.
«Era lo scudiero fidato di Bartali. C’è anche anche la bicicletta di Roberto Ceruti, gregario di Giuseppe Saronni e bronzo ai Mondiali», spiega Ongari. Anche lui, oggi settantaseienne, è stato un giovane promettente, più forte in pianura che in salita, della folta nidiata di San Savino ma ha dovuto scendere dalla sella perché il lavoro non gli permetteva di allenarsi. «Allora le società ciclistiche fiorivano, ogni paese, ogni sagra aveva la sua corsa. Gli iscritti erano così numerosi che partecipavano solo i cremonesi e, unicamente se era rimasto qualche posto, anche i bresciani o i bergamaschi».
In un angolo anche le biciclette in dotazione alla Gendarmeria svizzera e, con il reggi bandiera, dei Bersaglieri.
Non può passare inosservata nemmeno quella in legno, uscita dalle mani di un abile falegname, Adalgiso Bertoglio. «Naturalmente, non va su strada — precisa Pierfranco Zaffanella, 78 anni, volontario Auser, componente dell'Associazione e curatore-custode della collezione —. Quando siamo arrivati, questo era un luogo abbandonato in pessime condizioni, con i muri scrostati e la muffa».
Si è rimboccato le maniche e, attingendo al suo passato di imbianchino, ha intonacato le pareti, costruito l’impianto di illuminazione, ristrutturato i locali. Tutto, come Zenobbio Villa e gli altri soci dell’associazione che lo hanno aiutato, gratis. Presta servizio ogni martedì mattina (il museo è aperto anche dal mercoledì al sabato, dalle 8,30 alle 13).
«Ma sono qui anche nelle altre giornate per le scolaresche».
Fa da guida ai giovani («Spesso sono loro i più curiosi, i più interessati») e agli altri visitatori nel viaggio attraverso i reperti sostando davanti alle borracce «che una volta erano in alluminio», alla sfilata dei berrettini «di tutti i periodi» dei corridori e alle loro maglie. Un posto particolare occupa quella del Club ciclistico cremonese, fondato nel 1891, uno dei sodalizi lombardi più antichi. La storica maglia, ancora di lana e con le tasche anteriori, che il glorioso Museo del Ghisallo ha chiesto in prestito al suo omologo cremonese. Agli studenti Zaffanella, un super tifoso di Coppi con l’armadio di casa stipato di libri, filmati e calendari sul suo beniamino, chiarisce le differenze tra le biciclette di ieri e di oggi.
«Siamo passati da 12 a 9 chili circa di peso, dall’acciaio all’alluminio, dopo al titanio e al carbonio».
Un’evoluzione tecnologica rapida, incessante scolpita nel particolare di un modello arrugginito recuperato chissà dove: «Adesso il cambio è elettronico – interviene Ongari - mentre un tempo era fissato sulla ruota posteriore, bisognava scendere e azionarlo, ci si impiegava un minuto e mezzo se non due».
Non mancano le coppe, le medaglie, le targhe, ognuna racconta un’impresa e mille fatiche. In una teca, le vecchie scarpette con il tacchetto, mandate in soffitta da quelle moderne con il gancio rapido, come gli sci.
Anche Zaffanella, che prima di trasferirsi da Casalmaggiore a Cremona gestiva una palestra di pugilato, correva in bici: «Nella categoria amatori, ma ho dovuto lasciare per un problema fisico». Lo slancio, quello, è rimasto intatto. «Sistemo, spolvero. In questi giorni sto riordinando l’archivio nella stanza di sopra».
Già, perché ci sono, in una montagna di faldoni, anche i ricordi di carta, come il verbale di una delle prime riunioni dell’associazione. «È stata decisa — si legge — l’istituzione di un premio annuale alla memoria di Alfo Ferrari da assegnare a personaggi che hanno contribuito allo sviluppo del ciclismo nella nostra provincia».
Quel premio non c’è più. «Anche noi, per colpa del Covid e dell’età, siamo ora in pochi» sospira Gorini. «Questo luogo – gli fa eco, con un pizzico di malinconia, Ongari – è ciò che resterà della nostra associazione».
Resterà molto altro. Ad esempio, il monumento al Civico cimitero con incise le parole ‘A tutti i ciclisti cremonesi che con indomabile passione hanno scritto pagine di gloria’. Pagine scritte al Giro e su tante altre strade.
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