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'Ali', la libertà tra gioia e distruzione

Dal Buono trasforma gli uomini in esseri alati e li pone di fronte alla scelta. Un romanzo visionario in cui bene e male sono senza confini

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

17 Maggio 2023 - 05:25

CREMONA - «Il romanzo è una problematicizzazione della libertà e, se sono riuscito nell’intento, non fornisce una risposta univoca. Spero che ogni lettore si faccia un’idea sulla questione fondamentale: se è meglio vivere una vita più limitata, controllata, obbediente ricavandone in cambio serenità, decoro, una società più ordinata; o se invece la libertà sia un valore talmente assoluto che tutto può esserle sacrificato». Enrico Dal Buono, giornalista docente di scrittura creativa, con ‘Ali’ affronta gli argomenti più spinosi dell’uomo come essere sociale mettendogli un paio di ali sulle spalle e porta il lettore in volo a planare sui grandi interrogativi dell’esistenza che da sempre dilaniano il pensiero filosofico e morale. Ne parla con Paolo Gualandris nella videorubrica ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.

«In realtà - spiega - questo romanzo è anche il tentativo di destereotipizzare il desiderio più atavico dell’uomo: volare. Nel senso che ho cercato di togliergli tutto quel portato simbolico che nei secoli l’ha avvicinato a un immaginario angelico, dato che nel romanzo le ali sono organi ormai considerati incontrollabili, barbarici, superati, che tendono a portare gli esseri umani in una dimensione in cui sono liberi di essere totalmente se stessi. Inclusi i lati più terribili della personalità umana». Nel cosiddetto altocielo, infatti vengono commessi i peggiori crimini, grandi meschinità, vengono consumati amplessi ‘irregolari’.

Nonostante l’altezza tipica dell’ambientazione, vi trovano espressione oltre alla sublimità e la poesia anche le bassezze peggiori. Un mondo in cui al di sopra dei mille metri di quota la legge non arriva, la connessione non c’è, quindi ognuno è al sicuro e può essere ciò che vuole essere. E dato che gli esseri umani quando hanno questa libertà assoluta tendono a distruggere se stessi e anche gli altri, nel corso dell’evoluzione sociale, psicologica, filosofica dell’umanità si è arrivati a un punto in cui nasce un movimento per cui si ritiene che l’essere umano debba essere liberato da questo dono terribile delle ali. «La civiltà è qui a livello del suolo, dove gli individui sono obbligati dalla vergogna, dalla leggi, dalle convenzioni a porre un freno alla loro volontà bruta».

Nascono dunque delle cliniche di superlusso, i Gravity Resort, dove i vip vanno a sottoporsi all’amputazione. Regista di questa operazione è Falco Tremamondo. Un cattivissimo o un visionario buono e altruista, chi l’ha capito? «Sono contento che non ci sia un’interpretazione univoca, perché la sua figura si basa proprio sull’ambiguità. Da tempo avevo in mente la figura di un grande cattivo, nobile e profondo nella sua cattiveria, ma allo stesso tempo di non creare uno scenario manicheo in cui il bene fosse tutto da una parte e il male tutto dall’altra. Tremamondo è allo stesso tempo una magnate della finanza e un asceta. Si può ritenerlo sinceramente preoccupato per le sorti del genere umano, ritiene che vada controllato, guidato, aiutato, privato di tutto ciò che lo può abituare a una libertà che non riesce a gestire. Mi piace che ogni lettrice o lettore si faccia la propria idea».

Dal Buono crea dunque un mondo tale e quale al nostro, ma in cui le persone hanno ali glabre che faticano a controllare, Eugenio è un allenatore di palla-ala fallito e in crisi di mezza età, padre di due gemelli e marito annoiato di Gaia, devotissima figlia di Tremamondo. Frequenta prostitute al di sopra dei mille metri di quota, l’altocielo appunto, zona franca dove tutto resta segreto. Ma viene scoperto e convinto da Gaia e Falco a ricoverarsi nel Gravity Resort: grazie all’amputazione delle ali potrà finalmente rassegnarsi alla propria vita. Qui conosce Ivo Slavici, giornalista paranoico e bislaccamente complottista, «che volendo è da un certo punto di vista un vero eroe, che si sacrifica per gli altri fino in fondo».

Sempre qui, Eugenio incontra Celeste Possamai, conturbante, ma un po’ ingenua, ex prostituta ed ex tossica «incredibilmente acuta e naïve», che ha deciso di liberarsi dalle ali per via degli attacchi di panico di cui soffre in volo. Con Eugenio condivide un desiderio che non riescono ancora a nominare con parole umane, si innamorano. Troveranno la forza di scappare, naturalmente volando? Un romanzo che è un’esplosione di visioni poetiche, uno specchio deformato di paure e speranze dell’uomo, alimentato dal basso continuo, ostinato e ultraterreno dell’amore. Un inno alla libertà e all’amore, dunque? Un dibattito che dura da che c’è l’uomo, che l’autore ripercorre alla sua maniera, riscrivendo i grandi testi antichi, dalla Bibbia ad Aristotele ai filosofi di ogni epoca, come se le ali fossero il topos che riassume i grandi dilemmi dell’umanità.

«Vengo da una formazione filosofica, ho collezionato lauree inutili: Scienze politiche a Bologna, Filosofia a Padova e Lingua e letteratura russa a Venezia. Quindi ho la tendenza, spiacevole per chi fa narrativa, ad appesantire le storie con idee e teorie. In questo libro ho deciso di imprigionarla in brevi intermezzi saggistici, che però in realtà sono patafilosofia, patascienza, patafisica, in cui in nel gioco dell’universo parallelo tutto viene trasfigurato. Quindi la ‘Fenomenologia dello spirito’ di Hegel diventa la ‘Volologia dello spirito’, ma allo stesso tempo anche in riferimenti più pop ‘Yellow submarine’ dei Beatles diventa ‘Yellow Zeppelin’ perché tutto viene visto da una prospettiva alata. Un tentativo di dissacrare tutto ciò che per molto tempo abbiamo considerato sacro».

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