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Una palla a spicchi per spiegare la vita

Daniele Duchi racconta la storia, lo stile e i ricordi di un grande dello sport cremonese

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

26 Novembre 2025 - 05:25

CREMONA - «La nostra città è ricca di storie che raccontano lo spirito, la passione e l’amore di Cremona per lo sport. (...) Dentro queste storie un posto d’onore è riservato a una persona alla quale oggi è intitolato il nostro palazzetto dello sport». Il suo nome è Mario Radi, e fin dalla prefazione Daniele Duchi, giornalista sportivo di lungo corso con esperienze a La Provincia di Cremona e Crema e come corrispondente di testate nazionali, gli tributa il giusto omaggio fin dall’incipit.

Anzi, fin dal titolo, qualificandolo come giocatore, allenatore ed educatore. Mettendo l’accento sul terzo termine: il mondo è pieno di buoni atleti e validi allenatori che però, alla fine, non hanno seminato nei giocatori (e anche nei tifosi) neppure la minima parte di quanto è riuscito a fare Radi. Lo sport come passione certamente, ma anche rispetto e palestra di vita. Tre ruoli fondamentalmente sinergici, ma a cui corrispondono caratteristiche diverse: Radi le possedeva tutte.

TUTTO INIZIA IN ORATORIO

Duchi parla del libro con Paolo Gualandris nella videointervista online. «Mario è uno dei protagonisti della storia della pallacanestro cremonese fin dagli anni Cinquanta del ’900, dal dopoguerra. Insieme a una decina di ragazzi che frequentavano l’oratorio di San Luca, il fondatore della Juvi, società che ancora oggi milita in serie A2 e quindi ha una lunga storia. È stato inizialmente giocatore, tra la fine degli anni ’50, assume, in seguito, il ruolo di allenatore agli inizi degli anni ’60, ottenendo la prima storica promozione in Serie B. La sua storia è poi diventata quella di allenatore modello di vita per molti cremonesi che lo ricordano tutt’ora. Una figura che merita di essere ricordata».

FOTO E DOCUMENTI INEDITI

È un libro fatto con moltissimi ricordi, ricco di documenti e fotografie, per lo più inediti, messi a disposizione dalla famiglia. Spiega Duchi: «Ho voluto nella prima parte lasciar parlare i figli di Mario Radi, Annamaria, Marco e Alessandra, che ovviamente hanno bellissimi ricordi personali. Lui era molto credente e legatissimo alla famiglia». Poi c’è una seconda parte dove abbiamo voluto puntare sulla famiglia Radi: i fratelli di Mario erano cinque, tutti legati alla storia della Juvi. Il primogenito è stato dirigente, ma gli altri, da Mario fino ad arrivare all’ultimo, Giovanni, hanno giocato nella Juvi.

Una famiglia con la pallacanestro nel proprio Dna. La parola passa poi ai giocatori di Mario, «tutti gli interpellati hanno dato senza esitazioni un contributo personale ricordando quanto Mario ha dato a loro come giocatori e, soprattutto, come persone». E qui emerge la grandezza dell’uomo. Per ogni ricordo un titolo suggestivo. Quello di Guido Garavelli, poi divenuto cardiologo di fama nazionale: «Era particolarmente vicino ai mediocri». Giorgio Brugnoli, imprenditore cinematografico, punta invece su una sua capacità unica: «Portava i ragazzi a risultati impensabili».

QUESTIONE DI STILE

«Garavelli - ricorda Duchi - ha iniziato a giocare a pallacanestro grazie a Radi e personalmente non si ritiene tra i giocatori più forti della sua età. Però riconosce a Mario di averlo comunque apprezzato, nonostante magari le sue qualità fossero state inferiori a quelle di altri suoi compagni di squadra. Brugnoli, poi, ha ricordi bellissimi perché Mario non pretendeva la vittoria a ogni costo, ma insegnava e reclamava il rispetto degli avversari, degli arbitri e un certo stile di comportamento stando in campo». Quando si gioca, è notorio, si va in tensione e si rischia di avere discussioni e diverbi che possono lasciare il segno nelle relazioni personali e nella squadra. Anche in quei casi l’approccio di Radi è stato originale.

UOMO DI... LETTERE

Il riferimento è alla lettera che ha scritto a Enrico Pighi, l’inventore di Cremona Arena che, oltre a essere stato buon giocatore di pallacanestro nonché discreto tennista, è stato anche organizzatore di eventi che hanno lasciato il segno in città, su tutti i concerti di Zucchero e Vasco Rossi. Tornando a noi, come racconta Duchi, «Pighi ha avuto durante la partita quello che oggi chiameremmo uno scazzo col proprio allenatore. Da ragazzo un po’ fumino, si è ribellato alle decisioni di Radi. Se succedesse oggi al primo allenamento il coach ti farebbe fare 50 ‘suicidi’ e cento giri di campo. Mario invece no, era fatto in un altro modo. Finita la partita e tornato a casa, come si racconta nel libro, ha scritto una lettera a Pighi. Un documento bellissimo, pubblicato nel libro, in cui spiegava perché da Enrico pretendeva determinate cose».

Sempre a proposito di scrittura, Mario Radi era uso prendere appunti in continuazione su tutto. «Grazie alla figlia Annamaria abbiamo scoperto il suo libretto magico: un quadernino di 36 pagine in cui lui si era segnato tutto quello che doveva insegnare ai ragazzi, i fondamentali, il passaggio, il tiro, cioè tutte le nozioni più importanti. Non a caso lui viene ricordato dai suoi giocatori come probabilmente il più importante insegnante dei fondamentali di pallacanestro, cosa che al giorno d’oggi francamente non avviene più. Non vengono più insegnati e quando vedi le partite attuali te ne accorgi».

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