L'ANALISI
19 Novembre 2025 - 05:30
CREMONA - «Il potere è un’illusione, anzi può essere una maledizione quando subentra la vendetta». Gira intorno a questi due concetti, ai quali si deve aggiungere quello di salvezza, la chiave di lettura del romanzo ‘Le ombre’, thriller psicologico a pathos crescente con il quale Alessandro Zaccuri riprende una narrazione iniziata con ‘Lo spregio’.
Una parabola contemporanea di grande forza espressiva, sul cui sfondo si intravede l’omaggio ai classici della tradizione tragica. Delle due originarie famiglie criminali, una del nord e una del sud entrate in conflitto attraverso i figli, la seconda è rimasta padrona del campo ma è alle prese con una guerra di successione. Il più giovane di maschi del padrino morente è convinto di essere il predestinato a prendere il potere, ma non è detto che il prediletto dal padre sia anche il più amato da dal resto della famiglia.
Zaccuri, direttore della comunicazione dell’Università Cattolica di Milano e saggista, parla del nuovo romanzo nella videointervista con Paolo Gualandris. Il predestinato si chiama, non a caso, Salvo. Per lui, come spiega Zaccuri, «la salvezza è il cammino strano compiuto dopo un incidente, forse un agguato, che lo tiene bloccato al buio in una stanza curato attraverso un unguento che dovrebbe guarire ustioni, cicatrici e ferite. Un cammino separato da tutti e da tutto, dal potere e anche dall’illusione di possederlo, la qual cosa è diventata per lui una maledizione. Vive un percorso che potrebbe portarlo a una qualche forma se non di salvezza, almeno di accettazione della realtà».
Don Ciccio è morto. Lui si prepara a prenderne il posto a capo della famiglia criminale che da anni vive in soggiorno obbligato. A rafforzare le ambizioni del presunto erede contribuisce l’ammirazione che gli riserva Agata, venuta dal paese per vegliare sull’agonia di Don Ciccio.
Seduttiva e materna, è anche la prima persona di cui Salvo ha sentito la voce dopo l’agguato che gli è stato teso mentre accompagnava al Sud la salma del padre. Sopravvive all’aggressione, ma il suo corpo è orribilmente ustionato. L’unica speranza di guarigione è rappresentata dall’unguento della misteriosa Santabella, che pratica le sue arti di curatrice e fattucchiera in un casolare arroccato tra le pietre e gli ulivi. Qui, nel buio di una stanza dalla quale non gli è permesso uscire, il giovane consuma una convalescenza visitata dall’apparizione ossessiva di «ombre» senza identità che ripetono il suo nome in tono minaccioso e canzonatorio.
Zaccuri mette in scena una moderna versione della dantesca regola del contrappasso, per cui la pena a cui sono sottoposti i peccatori dell’Inferno e del Purgatorio riproduce i caratteri della colpa commessa in vita. «Nella vita, non solo in letteratura, a volte le cose non sono così dirette. Però è anche vero che è difficile che il male resti del tutto impunito. Si paga sempre un prezzo, e quello di Salvo è molto alto, anche se magari non quanto ci si può aspettare». Il vero confronto che ha, come capita anche a tanti di noi nei momenti estremi, è con se stesso, con ciò che più teme ma anche con quanto più desidera, in una continua capacità di illudersi tanto più forte quanto è presente in realtà la paura della disillusione.
Centrali le presenze femminili, a partire dalla bella e morbida Agata, capace di suscitare desiderio ma anche figura in un certo senso ieratica, il cui fidanzato è stato ammazzato alla vigilia delle nozze. «L’amante era morto, per questo la donna si paragonava alla Maddalena, china in lacrime sul Cristo deposto dalla Croce».
In paese la chiamano Maria Stuarda per la dignità con cui porta il lutto e in quanto desiderata da tutti senza concedersi a nessuno. «Quello della storia - racconta Zaccuri -, è un ambiente molto maschile. Gli uomini della famiglia sono stati mandati in soggiorno obbligato al nord e vivono senza lo loro mogli. Dal paese arriva questa figura femminile seduttiva, molto più adulta di Salvo, e inizia a esaltare le capacità del futuro capo, a riempirlo di complimenti esercitando obiettivamente una forte seduzione con la sua femminilità».
Ci sono poi tante altre donne perché il famoso unguento magicamente curativo per tradizione può venire maneggiato soltanto da mani femminili. Qui è Santabella la prosecutrice di una tradizione centenaria, forse millenaria, chi lo sa?, di questo unguento meraviglioso che guarisce il fuoco che ti devasta. Infine Bettina, aiutante della ‘maga’, la figura più tenera e amorevole della storia.
«L’ho immaginata proprio così. Da lettore appassionato dei Promessi Sposi, mi sono reso conto che per Agata avevo in mente la monaca di Monza, femminilità matura, aggressiva. Bettina è un po’ Lucia Mondella, senza però quella quell’intelligenza delle situazioni che la promessa sposa di Renzo Tramaglino arriva a sviluppare. Bettina è una creatura innocente, e se per Salvo c’è un’ipotesi di salvezza o di espiazione è proprio attraverso l’innocenza che lei rappresenta».
Se si vuole trarre una lezione da questo libro, sarebbe stiamo attenti dal potere e dalla fascinazione delle adulazioni. «Questa è sempre una buona regola- chiosa lo scrittore-. Quale che sia il potere che si esercita o che si pensa di esercitare, perché la sirena dell’adulazione è molto facile da seguire. Ma non sai veramente dove ti porta e pertanto bisogna diffidare dalla facciata di quanto ti accade cercando di andare oltre e capire cosa sta davvero succedendo».
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