L'ANALISI
12 Novembre 2025 - 05:30
CREMONA - Lo ha subito promesso al lettore: «Nessuna rivelazione sconvolgente o riservata, nessuna dichiarazione imbarazzante o polemica, nessuna descrizione epica. Niente, insomma, se non un racconto di vita vissuta, di emozioni, di convinzioni intimamente sentite». Ed è stato di parola Giovanni Nistri con il «lungo autoritratto non epico» ‘Ho servito lo Stato, una vita nell’Arma’. E 51 anni in divisa - dalla scuola della Nunziatella, all’Accademia, alla guida di reparti e regioni di mezza Italia e del nucleo di tutela del patrimonio culturale - sono una vita, un’esperienza conclusa come solo a pochi è riuscito: al comando generale dell’Arma dal 2018 al 2021. Parla della sua impresa letteraria con Paolo Gualandris nella videointervista.
Ne sono uscite 196 pagine in cui è riuscito a tenersi ben lontano dal rischio dell’agiografia di se stesso, forse pensando alla sua lettrice del futuro più amata, la nipotina Emma. Per lei si è lasciato convincere alla scrittura. «Fu quando un interlocutore mi disse ‘scriva qualche cosa per sua nipote, Emma non dovrà conoscere il nonno solamente attraverso il web. Le faccia sapere lei quello che ha sentito di essere’. Pensando a lei ho ‘visto’ anche i tanti bambini, figli di carabinieri che sono stati meno fortunati, il cui padre o la madre non sono tornati a casa perché hanno incrociato il destino sulla strada del dovere o perché stroncati da una malattia. I proventi di mia competenza sono devoluti all’Opera Nazionale Assistenza Orfani Militari dell’Arma dei Carabinieri, splendida organizzazione benefica». Verserà una quota anche un’organizzazione di volontariato di Urbino, di cui è cittadino onorario dopo esservi stato come comandante dell’Arma locale. Ne è uscito un racconto umanamente profondo, la cui lettura è utile a chi vuole entrare nei meandri di una delle istituzioni più apprezzate.
Memorie di vita quotidiana di un militare che, di fronte a problemi anche gravi, si è trovato a cercare soluzioni con l’ausilio della filosofia, della letteratura, della musica e del cinema. In queste pagine scorrono vite di uomini e donne, verità e apologhi, valori, sentimenti e comportamenti, fallimenti da cui apprendere. Un’esistenza a contatto con personaggi in malafede, con santi e assassini.
Prodromica una riflessione sulla solitudine di chi comanda, prezzo della responsabilità e dell’autorità. Nietzsche, Schopenhauer, Dostoevskij hanno esplorato questa idea, facile immaginare che l’abbia fatto anche Nistri. «È così. Senza scendere nel filosofico, sottolineo comunque che un comandante è circondato da collaboratori dei quali deve sapersi fidare e dai quali essere stimato. Inoltre, al tuo personale devi dare la certezza che sarà esente da qualunque riflesso di questa responsabilità». Nistri non nasconde di aver vissuto situazioni in cui si è preso delle responsabilità di fronte a situazioni che non aveva mai vissuto, impreviste. Attimi terribili nella vita di una persona, comunque di emozioni, spesso forti, a volte belle.
«Una, splendida, è vedere lo sguardo dei tuoi genitori il primo giorno in cui indossi l’uniforme. Ci sono poi quella di non sapere se si riuscirà a essere o meno all’altezza del compito che devi assolvere ma non sai come affrontare. L’emozione più sconvolgente è però il sentimento di dolore misto a volte all’amarezza, alla rabbia e al senso di inadeguatezza con la quale ci si confronta di fronte alla morte, in particolare a quella dei propri collaboratori. Doversi confrontare con chi non c’è più, con i parenti. Dover poi riassumere il sentimento di tutti per esempio nel corso di una orazione funebre, ti scava dentro». Ci sono due fatti accennati nel libro occorsi mentre era alla guida dell’Arma che hanno toccato da vicino il nostro territorio: nel marzo 2020 il pullman carico di studenti cremaschi sequestrato e bruciato da uno squilibrato e, nel luglio dello stesso anno a Piacenza la vicenda dei sei carabinieri arrestati con accuse pesantissime di spaccio, sequestro, tortura.
«Due estremi. Nel primo caso l’intervento pronto dimostra che il bene è stato fatto da un gruppo che ha agito in simbiosi a protezione della collettività. Nell’altro caso, il male è stato fatto da un gruppo di persone che hanno agito ognuna con propri fini individualistici. Nel caso di Piacenza prevalgono la tristezza e l’amarezza. Una delle cose che mi colpì molto fu che l’autorità giudiziaria non ritenne di assegnare le indagini ai carabinieri, come invece sarebbe stato normale». Storia e pratiche quotidiane dell’Arma sono, si sa, ammirate nel mondo. È ciò che viene definito la «carabinierità». «Quando ero in accademia il direttore dei corsi faceva scrivere sulla lavagna ogni giorno le parole fermezza, umanità, giustizia, stile, organizzazione, fede. Nel libro indico quelli che per me sono i valori di riferimento: lealtà, esempio e onestà sia materiale che intellettuale». Il Comando Carabinieri tutela del patrimonio culturale e il progetto Pompei sono motivi di grande orgoglio. «Sono entrato in un mondo che mi è sempre interessato. Ovunque si vada i carabinieri dell’arte, come vengono chiamati, sono portati ad esempio. In una conferenza a Ginevra, un relatore parlò dei reparti specializzati e mise i carabinieri in cima alla lista, prima dell’Fbi». Pompei invece fu un fulmine a ciel sereno. «Lì per lì mi parve una traversia a cui non potevo sottrarmi, si rivelò un’opportunità, dimostrammo all’Europa che quando vuole l’Italia le cose le sa fare».
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