L'ANALISI
15 Ottobre 2025 - 11:25
CREMONA - Prima di entrare nelle more di ‘Controbuio, vivere e morire al Casinò di Sanremo’, nuovo romanzo di Orso Tosco (già vincitore di un Premio Scerbanenco) è utile un breve ripasso del gergo dei pokeristi. A partire dal titolo. Come spiega lo stesso autore, se il buio è quando si punta senza aver guardato le carte, con il controbuio si rilancia l’azzardo con una mossa coraggiosa, sfrontata e irriguardosa verso qualsiasi forma di protezione personale. «Il gesto più avventato al tavolo da gioco».
Poussette è invece il lestissimo gesto dei bari per piazzare le fiches dopo che il numero è uscito. Premesso questo, va detto che i protagonisti della vicenda, decisamente surreale, sono «gente nata a sinistra del buio», cioè gli unici a poter rilanciare. Spiega Tosco, parlando del suo libro nella videointervista con Paolo Gualandris. «Gente che nasce con l’istinto di rilanciare alla cieca, che ha una una fiducia feroce verso il futuro, nonostante gli acciacchi e gli sbagliamenti delle loro vite». Tosco racconta un’avventura notturna vissuta da un gruppo di strani personaggi tra i quali include sé stesso: «Ci ritroviamo io e un gruppo di vecchi uomini della notte, alcuni mezzi malavitosi, bari, gente dalle vite strampalate. Ci rincontriamo un po’ per la memoria di mio padre, un po’ perché sta per nascere una specie di strana caccia al tesoro».
Ecco cosa accade. A Sanremo le notti della settimana del Festival sono sfavillanti e chiassose, e la città sembra tornare a vivere i fasti di un tempo passato. Ma questa notte la tempesta in corso ha deciso di spegnere i festeggiamenti, la città è prigioniera di una bufera apocalittica. La notte in cui svolge l’azione è nella settimana del Festival della Canzone Italiana «perché quelli sono i giorni più importanti, ma anche più fasulli dell’anno per Sanremo. Ore in cui la città tenta di ridarsi quel tono che aveva quando era una città divertente, con una vita notturna incredibile. Tutte ciò adesso non c’è più. La città è anziana, anagraficamente smorta, spesso malgestita, comunque tristanzuola, una città che potrebbe dare molto di più. Durante la settimana del Festival tenta di darsi un tono. L’intento è smascherare questo gioco, non certo per cattiveria, ma per il motivo opposto: per amore. È una città che amo molto, è la mia, è il mio posto». Una città che, per l’occasione viene fisicamente e metaforicamente ricoperta da «un mare di fango che lei stessa ha provocato. Sappiamo bene che la costa della Liguria continua a essere brutalizzata da abusi edilizi e anche quando le iniziative immobiliari sono legali, in qualche modo vanno a compromettere la bellezza del territorio e la sicurezza di chi lo abita. Però siamo ancora in tempo a rimediare in qualche modo».
A chiamare Tosco è stato Tonino, storico amico del padre nonché celebre pussettista, baro a cui i casinò hanno chiuso le porte in faccia da decenni. Orso è attirato in quella che ben presto si rivela essere un’impresa folle. Tonino ha radunato alcuni tra i più sgangherati personaggi legati al mondo del Casinò degli anni Settanta e Ottanta con l’obiettivo di ritrovare l’oro scomparso di un ristoratore e cambiavalute ucciso nel lontano 1979. E proprio le storie incredibili di quell’epoca ruggente in questa notte di evocazioni tornano a essere raccontate tra un boccone e l’altro di una meravigliosa pasta allo scoglio. Per ‘condimento’ una mano di poker tra le più concitate e l’uso di una droga che scatena inarrestabili appetiti sessuali. Incontriamo così gente sempre in fuga, personaggi che portano i segni di tutte le loro fragilità. «Questa cosa mi interessa molto perché mostrano anche una strana forma di vitalità, sicuramente imperfetta e mossa da motivazioni eticamente discutibili, spesso quasi criminali o comunque da strambe perversioni. Però c’è una forma di vitalità. È un punto a cui tengo molto, perché viviamo tempi cupi che sembrano spingerci a chiuderci in noi stessi; invece i miei personaggi sono sicuramente sbagliati, dei perdenti, ma estremamente vitali». Uno dei protagonisti del romanzo è l’autore stesso. «Perché tra le altre cose questa è una storia di famiglia: mio padre era un croupier del Casinò e io gran parte dei personaggi a cui mi sono ispirato li ho conosciuti tramite lui. Era gente che faceva parte di quel mondo del gioco che lui ha frequentato un po’ per mestiere e molto per vocazione». Arrivato a fatica da Chez Antoine sotto un nubifragio, l’io narrante a sorpresa trova, oltre a Tonino, il vecchio baro che l’ha chiamato, Gianni il giornalista scandalistico che mangia solo toast, Luigino, il travestito in passato la regina delle notti sanremesi, O’professore, un ex avvocato, Pietra e Samurai, due ex croupier, Michele, un rapinatore che si presenta con la bella slava Luba. E a sorpresa arrivano pure due trapper che cercano una festa in giro per Sanremo e trovano quella sbagliata. Un’allegra compagnia di squinternati borderline. «Osservandoci riflessi in una vetrina mi dico che siamo i degni rappresentanti di questo pezzo di mondo: impresentabili e irregolari, malconci e assurdamente, stupidamente tenaci», riflette Orso nel romanzo.
«Personaggi a cui mi lega un grande affetto per svariate ragioni, non tutte buone, non tutte condivisibili, però diciamo che in loro vedo appunto questa speranza in un miracolo imminente, in un gesto risolutivo, nella vittoria che possa rimediare a tantissimi anni di scelte sbagliate, di disastri personali, di debiti. Per questo faccio il tifo per loro» argomenta Tosco nell’intervista.
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