L'ANALISI
3 MINUTI 1 LIBRO
07 Agosto 2024 - 05:25
CREMONA - ‘Tutti i fiori della mia estate’ è una avventura d’amore e di abbandono, con la protagonista che rinasce a se stessa dopo una storia di sofferenza e di incomprensione, con cicatrici interiori che in qualche modo cerca di nascondere. Succede a molti, in particolar modo a Matilde, adolescente alla quale il mondo sembra crollare addosso. Invece - questa la morale - è bene mostrarle quelle ferite, proprio come fanno le piante, per essere curate. Anche Eric, si tiene dentro una sofferenza magari meno evidente, ma ha comunque situazioni da risolvere. I due sono i personaggi centrali del romanzo d’esordio di due giovani cremasche ‘celate’ sotto lo pseudonimo G. Anna, Giada Guerreschi e Anna Pace. La prima social media manager, la seconda marketing manager di sviluppo. Ragazze, come scrivono, che «nel tempo libero viaggiano, spesso insieme, accarezzano i loro gatti, fanno karaoke improvvisati e danno da bere alle piante». Parlano del romanzo con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.
Matilde ha un ragazzo che tutte le invidiano, una migliore amica di cui non potrebbe fare a meno, un futuro alla facoltà di Economia di Harvard. La sua vita finora è stata come il tarassaco, quel fiore giallo che ti dà sicurezza perché potresti riconoscerlo sempre e comunque. Almeno così le raccontava sua madre Petra, biologa di grande fama, durante le passeggiate in cui le insegnava nomi e proprietà di ogni fiore e pianta. Finché in montagna hanno smesso di andarci, perché Petra l’ha abbandonata. Quando riceve la notizia della sua morte, Matilde cadrà nel caos del dolore e del risentimento. Scoprire che la donna ha vissuto a Nardone, paese di fantasia collocato nel bresciano, piccolo borgo di montagna, benvoluta da tutti, si rivelerà devastante. Così come sconvolgente sarà lo sguardo fugace di Eric dopo la cerimonia di addio. Ombroso e arrabbiato, il muscoloso e bellissimo ragazzo dalla camicia a quadri, sembra conoscere più cose di Petra di quante non ne abbia mai sapute lei. Sarà con lui che la ragazza indagherà sul passato della donna, tra sfide e provocazioni, discussioni sul futuro e intime chiacchierate al calar di luna che li avvicineranno irrimediabilmente.
Scrivere a quattro mani «non è stato così difficile come potrebbe sembrare - assicura Giada -, abbiamo molte cose in comune, in particolare ci piacciono libri romance a lieto fine. Un brainstorming ci ha portato a creare a i personaggi, le scene, le storie: è stato veramente tutto molto naturale, non non abbiamo mai litigato - sorridono entrambe -, lo giuriamo». Giada, la più flow ha buttato giù la prima bozza, poi è intervenuta Anna, che ha riletto tutto andando a specificare ogni piccola parte, i particolari di ogni scena. Un lavoro di squadra». Il romanzo è un’operazione di cromoterapia sia dal punto di vista del look dei protagonisti che da quello della natura, con i colori come manifestazione di stati d’animo. Giada: «Volevamo dare una un’impronta a questo libro che potesse far sentire il lettore immerso completamente, essere realistico in tutto e per tutto».
Per la parte fiori, va detto, magistralmente descritta, hanno avuto un ruolo importante le radici delle scrittrici. Anna: «Siamo di Crema, intorno a noi c’è tantissima natura, abbiamo preso anche da lì. Ogni pianta per me rappresenta un’emozione, un sentimento. I fiori rendono tutto molto più colorato». Ed eccoli alcuni di questi accostamenti suggestivi. «Parliamo del rapporto tra Matilde e la madre, all’inizio la giovane lo paragona a un campo di grano in cui c’è però tanta zizzania che cresce, soprattutto nell’animo della ragazza, l’immagine molto dorata di un campo di grano ci rappresenta in quanto siamo immerse noi stesse nei campi di grano, che però man mano si scurisce e avvizzisce a causa di questa erba malata. Nel corso della vicenda la protagonista dovrà cercare di capire se la zizzania si può estirpare dall’anima oppure no. Poi c’è il soffione, il tarassaco, fiore che da giallo brillante diventa una palla di piccoli semi che volano via, portati dal vento. Un’immagine che descrive efficacemente il cambiamento della protagonista».
Matilde, milanese molto chic e snob, è arrabbiata con la vita per essere stata abbandonata, arriva al paesino e scopre che c’è tutto un altro modo possibile di vivere, di avere relazioni con gli altri, che in gioco ci possono essere valori dei quali ignorava l’esistenza. Sul banco degli imputati la vita della metropoli, con tutti i suoi riti, l’attenzione esasperata al look, l’aperitivo, la discoteca, la carriera, l’ansia di primeggiare. «Non era quello il nostro intento - assicura Giada -, semplicemente volevamo far vedere che esiste anche altro stile di vita, che si può trovare valore anche nelle piccole cose e nel riscoprire valori antichi. Volevamo spingere anche a una riflessione sul come la protagonista sta vivendo la sua vita e come potrebbe viverla, magari meglio, anche in una grande città».
Le vicende vengono narrate dai punti di vista dei due protagonisti, Matilde ed Eric, ‘campioni’ di due mondi molto diversi fra loro. All’inizio sembra esserci una grossa tensione fra loro, ma poi impareranno a conoscersi a riscoprire alcuni lati di se stessi che pensavano aver dimenticato. In tutto ciò c’è lo sfondo di sofferenza della madre di Matilde costretta ad abbandonare la figlia, e che in qualche modo, anche pur non essendoci fisicamente, è sempre presente nella narrazione. Come e perché lo si potrà scoprire solo leggendo.
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