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L’amore, il perdono e la magia a Stellata

Daniela Raimondi ci dona la seconda, straordinaria, puntata della saga dei Donadio dopo lo straordinario successo de ‘La casa sull’argine’: il ritorno alle origini

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

04 Ottobre 2023 - 05:20

CREMONA - Si è detto che è un romanzo che racconta l’intimità della saga familiare e l’epicità di un viaggio nella nostra storia. Ed effettivamente Daniela Raimondi con ‘Il primo sole dell’estate’ continua il felice percorso narrativo iniziato con ‘La casa sull’argine’, opera prima con oltre centotrentamila copie vendute. «Quanto tempo è che non tornavamo a Stellata, mamma? Tornarci per un po’, intendo, non una scappata veloce come abbiamo sempre fatto negli ultimi anni. Essere di nuovo qui, in questo posto così ricco di memorie, forse mi farà bene. Farà bene a tutte e due», dice Norma - protagonista del romanzo e voce narrante de ‘La casa sull’argine’ - alla madre malata che, dopo una vita in fuga dalle proprie origini, ritrova nel momento in cui deve però prepararsi a dirle addio, essendo allo stato terminale.

Un ricongiungimento atteso da una vita per lei che ha sempre inseguito l’affetto di una madre distante, in un rapporto in cui l’abbraccio non era contemplato. Continua dunque la grande saga familiare, che certamente bisserà il successo del primo romanzo, avendone la stessa forza emotiva, la stessa poesia, la stessa magia, pur raccontando di vicende e personaggi nuovi. Perché queste genere di storie attirano tanto l’attenzione del pubblico?, viene da chiedersi. «Penso che sia perché hanno in sé valori universali - risponde senza esitazione Raimondi-. Parlano a tutti noi delle nostre radici, dei nostri affetti ma anche dei problemi familiari, della nostra origine. Quindi che sia sulle rive del Po, in provincia di Ferrara, come la mia, in Sicilia come quelle di Stefania Auci o a Macondo dove ci porta Gabriel Garcia Marquez, alla fine parlano della stessa cosa, di legami familiari e delle loro problematiche e toccano, diciamo, dei nervi esposti. Quindi parlano di tutti noi». La scrittrice racconta la sua ultima fatica letteraria a Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.

Tutto inizia e tutto finisce a Stellata, luogo del cuore e dell’anima di Norma, che qui viene raccontata per l’intero sviluppo della sua vita. Parte dal borgo natio, arriva a Viggiù, poi ne va a Londra e successivamente in Brasile, lungo un percorso di vita parallelo a quello della stessa autrice. «Certamente c’è qualcosa di mio in questo romanzo. Nel senso che sono nata a Caposotto di Sermide, vicino a Stellata, dove c’era la nonna dalla quale andavo sempre durante l’estate; la mia famiglia come quella di Norma si è spostata ai confini con la Svizzera e poi da ragazza sono andata a Londra, ho studiato letteratura spagnola latino americana ho e passato più di un anno e mezzo in America Latina. Come carattere e per tutto il resto, però, Norma e io non abbiamo nulla in comune».

È una storia che parte dal 1947 e arriva al 2015, quando torna a Stellata con la madre. Quanto è importante per Norma, e anche per lei, il luogo del cuore? «Penso di aver scritto inconsciamente entrambi i libri della saga per un bisogno personale di scoprire a dove appartenevo. Credo che succeda a tutti a una certa età, ma soprattutto a chi come me ha vissuto la maggior parte della sua vita all’estero: si arriva ad un punto in cui ci si pongono queste domande. Inconsciamente ho scritto questo romanzo proprio per un ritorno alle mie radici. Ed è esattamente quello che fa Norma quando la madre si ammala. Come dico nel mio libro, molto spesso le nostre vite sono un cerchio, nel senso che si cerca di fuggire dal passato, ma poi fatalmente questo passato ci richiama».

In quelle giornate sospese, di accudimento e lento addio, Norma ripercorre ricordi e vecchi rancori, quell’amore misto di odio e di affetto, che ha provato nella sua vita, specie per la madre Elsa, donna infelice e madre inadeguata. Il presente, di recriminazione e pacificazione, è spezzato da frammenti di vita vissuta, fotogrammi dal passato. I momenti in bici con il padre, i pomeriggi di gioco, il trasferimento a Viggiù, le vacanze con la Millecento, i primi amori, i primi dispiaceri, Elia con cui si amerà e si perderà, e che in un amaro bilancio di vita le dirà «Volevamo cambiare il mondo , e ora l’unica cosa che cambiamo è il divano».

E poi c’è la cugina Donata. Il loro rapporto è segnato da un’eterna presenza: dal lato zingaro della famiglia Donata ha ereditato la capacità di vedere attraverso il tempo, di leggere nei tarocchi antichi, e nei sogni, quello che la vita ha preparato. La sua chiaroveggenza prima, la sua assenza dopo, definiscono tanti momenti e tante scelte di Norma. Quando Donata se ne andrà, sarà con una profezia che solo negli anni Norma imparerà a interpretare, e ad accettare. Poi c’è nonna Neve, che se è felice profuma e attira le api, una donna avvolgente, carica d’amore con le sue tazze di caffelatte con i pezzetti di pane, le filastrocche in dialetto; e ancora, i battibecchi con Ramades e tante coccole sono un ricordo di serenità, e ci sono le libellule che arrivano al momento giusto sulla testa e sulle spalle dei bambini per rasserenarli. Raimondi racconta di un’atmosfera magica lungo le sponde Po.

«Carlo Levi diceva che per entrare nel mondo dei contadini bisogna farlo con una chiave di magia. Che nel passato si chiamava superstizione e credenza popolare. Il mondo contadino è pieno di queste leggende, di questa atmosfera un po’ rarefatta di morti che tornano, di gente che saprebbe vedere il futuro. Ammetto di essere stata molto influenzata dalla letteratura latinoamericana, quindi era inevitabile che il realismo magico entrasse anche nei miei scritti. La mia è una magia nostrana, di radice Padana». Scrive Francesca Cingoli su IlLibraio.it: «Ha il nome di una druidessa, gli occhi grandi e chiarissimi, Norma, la bambina piena di immaginazione che riempiva le pareti di fate e draghi: ha il nome di un profeta su un carro di fuoco, Elia, il bambino magro che le legge Mandrake e la bacia, la promessa di un amore infantile nelle pagliuzze d’oro dei suoi occhi. Si ameranno, si perderanno, cercandosi attraverso gli anni, legati da un’eredità e da un destino indecifrabile con la ragione, possibile solo con le regole occulte del cuore».

È un libro che procede su diversi filoni: «Sono partita per raccontare una storia d’amore e di perdono. Quest’ultimo sentimento è fondamentale, perché Norma ha parecchie persone che deve perdonare e ai cui chiedere perdono. Innanzitutto la madre, che non le ha mai dimostrato affetto, deve perdonare il marito, una cugina cui è estremamente legata, e infine anche se stessa. Poi, scrivendo, pagina dopo pagina, mi sono fatta trascinare da una storia parallela, quella della maternità: fra Norma e la madre ma anche fra Norma e la propria figlia».

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