L'ANALISI
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27 Settembre 2023 - 05:25
CREMONA - Younes è un giovane della banlieue parigina, ladruncolo e spacciatore part-time. Durante un concerto si invaghisce di una ragazza, ma non riesce ad approcciarla perché scoppia una bomba. Trova però per terra il suo smartphone, strumento rivelatore dei segreti più nascosti di ciascuno di noi. Giulio, invece, è un dottorando che, in completa solitudine, tra un cannone e l’altro, non fa che ripensare alla sua ex fidanzata. Tuttavia, l’incontro sul treno di una fanciulla con lo sguardo malinconico e misterioso lo fa nuovamente innamorare.
Due vite che sembrano incrociarsi solamente grazie al contatto umano tra un pusher e il suo cliente. Ma sarà davvero così? La risposta la dà Simone Cerioli, cremasco di Rivolta d’Adda, che è una delle due metà di Andrea Simon: ‘Il secondo uomo sulla Luna’ è scritto a quattro mani con Andrea Crocioni. La firma del romanzo è una fusione armonica dei loro due nomi. Il primo è laureato in Lingue e letterature straniere e «appena può va in bici sul fiume», il secondo giornalista, «è appassionato di cinema e nel tempo libero coltiva il suo orto. Cerioli ne parla con Paolo Gualandris nella videorubrica ‘Tre minuti un libro’.
«Tutto ci è venuto molto spontaneo: l’idea originale è di Andrea e ci siamo proposti di vedere se riuscivamo nel corso di un anno un anno e mezzo a sviluppare un testo. Andrea ha un passato di cinema lui ha fatto il regista io ho curato, diciamo, la fotografia e di comune accordo abbiamo lavorato alle singole scene in un continuo feedback. Abbiamo proceduto rigidamente spietati l’uno verso l’altro anche nel criticarci. Quindi tutto il testo è di entrambi e chi legge non ha lo sfasamento tra uno stile e l’altro». È un romanzo parigino-marsigliese che a partire da un attacco terroristico (che fa ovviamente riferimento al Bataclan, ma che non è il Bataclan) narra l’esperienza di Younes, giovane banlieusard di origine algerina, di Sophie, studentessa di filosofia della Parigi benestante, e di Giulio, dottorando italiano sull’opera di Gustave Courbet.
«L’idea era non tanto un riferimento specifico a un fatto di cronaca, ma più un riferimento vago a una situazione legata al nostro periodo francese. La storia si sviluppa su due binari che si accostano e si allontanano e noi sullo sfondo di Parigi e poi Marsiglia mostriamo al lettore l’esperienza di vita individuale ma anche sociale di chi vive la periferia con un background di immigrazione, di chi vive la Francia in un contesto di classe media e come studente e di la vive invece da francese dell’alta borghesia, cerchiamo di analizzare le emozioni profonde individuali di ognuno nel contesto sociale in cui sono nati». Giulio, l’italiano è un dottorando al lavoro sull'opera di Gustav Courbet.
Una presenza, quella dell’arte, molto importante nel libro: «Sì, ma anche contraddittoria nel senso che per il personaggio è un fonte di evoluzione e di crescita personale, anche se al contempo lo separa, non gli permette interamente di vivere nella realtà vera. Diciamo che da elemento emancipatorio si trasforma in una fuga, in una situazione di frustrazione e di passività verso quanto si vorrebbe fare nel reale ma per propria indole non si riesce ad agire».
È invece al bivio della propria esistenza Jounes: «Nel contrasto tra il personaggio italiano e il francese di periferia, facciamo una riflessione anche presa sull’esempio di Hemingway sul coraggio. Nel senso che Giulio, ragazzo della classe media, soffre dell’incapacità di affrontare la vita in modo deciso. Il ragazzo della banlieue invece, con tutti i problemi che ha legati a dove vive, è più volitivo ed è piuttosto il suo contesto sociale a frenarlo». Poi c’è lei, Sophie, che in qual che modo è il filo rosso tra gli altri due, che peraltro non si conosceranno mai: «Lei ha più una funzione di miraggio: il tema del libro è l’amore incompiuto, il desiderio che per vari motivi non si realizza».
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