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Tu m'hai abbandonata, ora lo so: è stato amore

Calandrone rivive lo strazio di sua madre che si è gettata nel Tevere assieme a suo padre. Era fuggita dal marito violento, ma per la società era reietta: così le ha concesso un futuro

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

26 Luglio 2023 - 05:25

CREMONA - «Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale. Finalmente ora posso avere dei ricordi, collocarla nello spazio e nei suoi luoghi», afferma sin dall’inizio Maria Grazia Calandrone, spiegando di aver esplorato «un metodo per chi ha perduto la sua origine, un sistema matematico di sentimento e pensiero, così intero da rianimare un corpo, caldo come la terra d’estate, e altrettanto coerente». L’autrice, nota poetessa, non ha mai praticamente conosciuto la madre, Lucia Galante, essendo quella bambina che il 24 giugno 1965 fu abbandonata a otto mesi dietro i cancelli di Villa Borghese a Piazzale Flaminio. Una storia che ripercorre nella videointervista con Paolo Gualandris per le rubrica ‘Tre minuti un libro’ in rete da oggi su www.laprovinciacr.it.


La vicenda finì per giorni su tutti i giornali col ritrovamento della madre nemmeno trentenne e del padre biologico, Giuseppe Di Pietro, annegati nel Tevere. Suicidi dopo aver imbucato una lettera per ‘L’Unità’ in cui spiegavano chi era la bambina. Questo libro è frutto di una lunga indagine, di ricerca di testimoni, di documenti di archivio, nel tentativo di ricostruire con minuzia e cercar di capire vite precedenti e mosse e motivi di quei gesti estremi. Prima ecco quindi l’Italia provinciale, contadina e perbenista degli anni ’50 nelle campagne del Molise e lo svolgersi di una storia al femminile, di pregiudizi e amore, sino alla fine, che è tutta in quella dichiarazione: «Vengo a te dove non mi hai portata, nella morte», non tirandosi indietro davanti a nulla, nemmeno allo studio dei cadaveri degli annegati.

Non si pensi però a un giallo dai risvolti neri, che questo è tutt’altro, è un gesto d’amore che per poter essere espresso ha dovuto aspettare cinquant’anni, raccontando come un romanzo la vita di Lucia, innamorata di Tonino, ma data sposa a un contadino che portava in dote un suo campo confinante, Luigi Greco detto Centolire, che non la toccherà mai, che la picchia, la umilia, non le dà da mangiare e la usa come serva. «Io credo che questa povera ragazza abbia sofferto tantissimo. E che le sue sofferenze sono servite a darti tanto onore a te», dice una vecchia del paese, Palata in provincia di Campobasso, rintracciata dalla Calandrone.

«I matrimoni combinati erano pratica usuale all’epoca e lo sono ancora oggi nelle culture vicine alla nostra - spiega l’autrice -. Questo libro è stato letto in molte classi e sono tante le ragazzine ad avermi confessato di essere promesse spose contro lo loro volontà. Ho deciso di scrivere questo romanzo perché mi sono resa conto che è una storia che appartiene anche al nostro presente non tanto e non solo al passato e che comunque una Lucia nella famiglia di tutti noi c’è. Donne che hanno subito violenza da parte dei mariti e abbandoni da parte della famiglia in nome di una convenzione che sovrasta anche il bene dei propri figli».


Un romanzo quindi anche di denuncia della condizione femminile in quegli anni, violentata e umiliata. Lucia poi incontrerà Giuseppe, operaio di cui si innamora e col quale, per cercar di trovare un po’ di libertà, fugge al nord, a Milano, quella agra di Bianciardi, dove comunque arriva la denuncia per adulterio, secondo le leggi sulla famiglia allora in vigore, e le difficoltà economiche e di lavoro si fanno molto pesanti. Le aggrava la nascita della figlia Maria Grazia, che prende il cognome non di Di Pietro, il vero padre, ma Greco, quello del marito della mamma, che scriverà un’aspra, terribile lettera per disconoscere quella paternità. Prendono allora il sopravvento vergogna, sensi di colpa e «condizioni disperate»: «Non ho scelto altro che la strada di lasciare mia figlia alla compassione di tutti», come si legge nell’ultima, straziante, lettera.


«Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo, da una vita che forse hai immaginato per me. Adesso vengo a prenderti e ti porto via. Lucia, dammi la mano», scrive Calandrone e questo ritrovarsi, tutta la storia è narrata appunto come una scoperta di cui il lettore diventa partecipe, grazie a una scrittura alta, vera, priva di sentimentalismi, tesa e intensa, lucida e emotiva tanto che, quando il dolore del dire, il riferire si fa indicibile, si fa lirica e, in alcuni punti, il coinvolgimento si scioglie in versi, acquistando l’immediatezza, la forza antiretorica e la profondità della poesia.

«Ci sono io che dal futuro ti guardo / calarti piano in quello specchio atomico / in quella fine del mondo, e ti guardo / e ti lascio / libera, ti lascio / e, per me, prendo solo da chiarire / la solitudine della tua materia / disabitata. / Siamo dentro una vasca di luce. Ogni passo che faccio verso di te fa un rumore subacqueo». Questo ‘Dove non mi hai mai portata’ è una riconciliazione con la figura della madre, che arriva due anni dopo ‘Splendi come vita’ sul rapporto, non facile e vissuto con dolore sino alla catarsi finale, con la madre adottiva.


Infine, specifica Calandrone, «credo di aver fatto questo mio ‘viaggio’ anche a nome di tanti bambini che vengono abbandonati, tremila all’anno solo in Italia. Per carità, tutte le storie sono singolari e diverse l’una dall'altra, però aver capito che dietro il gesto dell’abbandono, che può portare rabbia e rancore, alle volte c’è un gesto di amore enorme. Cioè quello di privarsi di una cosa bella e desiderata in favore di una sua vita migliore».

Franco Buffoni, proponendo la candidatura di questo romanzo per il Premio Strega 2023, ha scritto: «Con questa nuova prova narrativa l’autrice, ben nota da decenni come indiscutibile voce poetica, non solo conferma le qualità di narratrice di razza, ma le corrobora con una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: riuscendo a ricostruire ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico, e dando dei propri genitori biologici tesi verso una tragica fine un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo e emblematico nella sua attualità». Tutto vero.

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