L'ANALISI
04 Dicembre 2025 - 05:25
CREMA - Laurea in medicina conseguita all'Università di Milano e specializzazione in psichiatria a Torino, ma anche un dottorato di ricerca ottenuto a Trieste. Dal 2023 Virginio Salvi dirige il Dipartimento della salute mentale, della disabilità e delle dipendenze dell'Asst di Crema.
In queste ore, viene celebrata la giornata internazionale delle persone con disabilità. Qual è la valenza della ricorrenza in ambito locale?
«È estremamente importante, perché si tratta di una condizione che, sempre di più, colpisce la popolazione. Pensiamo che in Italia ci sono 13 milioni di persone con disabilità. E sempre più spesso si tratta di bambini che frequentano le scuole. A cominciare dalla primaria, dove circa il 5% degli alunni ha una condizione di disabilità e uno su tre è affetto da autismo».
Quali sono le necessità principali alle quali risponde il Dipartimento che lei dirige e quindi i servizi offerti?
«Parlando di bambini, il Dipartimento risponde alla fascia in età scolare e degli adolescenti in maniera decisamente organica. Quindi, si tratta di una risposta sia sanitaria, in termini di tutte le terapie che possono aiutare a superare, per quanto possibile, alcuni aspetti delle disabilità intellettive, degli autismi; sia di interfaccia con altri attori. Per esempio le scuole prima di tutto, per quanto riguarda l’infanzia e l’adolescenza, oppure per l’età adulta con i Comuni e le varie associazioni del terzo settore».
Si parla molto di multidisciplinarità. In che modo la collaborazione tra medici, psicologi, educatori e assistenti sociali riesce a migliorare la qualità del servizio offerto?
«La multidisciplinarità e l’integrazione di competenze sono elementi fondamentali. Un tempo, nelle strutture per la salute mentale, c’era la figura principale del medico e dell’infermiere e poco altro. Ma negli ultimi vent’anni è cresciuto il numero di figure che danno un apporto importante. Parliamo di un apporto psicologico, di logopedia, di neuropsicomotricità dell’età evolutiva. Sono tutti aspetti che, evidentemente, non sono farmacologici, perché la disabilità non può venire trattata con farmaci, ma che aiutano a percorrere la traiettoria il più possibile aderente a quello che è il nostro concetto di normalità. E quindi limitare il più possibile la disabilità, per costruire un progetto di vita».
Quali sono i progetti futuri del Dipartimento?
«Dare sempre più peso e sempre maggiore valore al tema della disabilità. Per esempio, in questi anni abbiamo sviluppato un progetto specifico per l’autismo: dall’analisi territoriale, al progetto di vita. È in chiusura, ma contiamo di proseguire anche negli anni a venire, perché è stata veramente un’innovazione, permettendo veramente di fondere l’aspetto sanitario con quello sociale. Consentendo alla persona anche adulta, con autismo grave, di creare, di fare dei percorsi evolutivi. In futuro, senz’altro, sarà quindi necessario dotarci di fondi per poter affrontare il tema della disabilità neuropsichica, disponendo di sempre maggiori risorse».
Tra l’altro, a proposito di autismo, il 22 dicembre, in sala Pietro da Cemmo, si terrà un convegno di rilevanza nazionale. Di che cosa si tratta?
«È il convegno di chiusura del progetto che citavo. È stato un unicum nel panorama nazionale di cui siamo, io credo giustamente, orgogliosi. Perché ha permesso di partire da una valutazione multidimensionale dei bisogni della persona con autismo e disabilità, quindi parliamo di grave autismo che comporta una disabilità neuropsichica importante. E da lì costruire un progetto, disegnato in maniera quasi sartoriale sulla persona che soffre, quindi su quelli che sono i suoi bisogni, ma anche i suoi desideri per costruire, appunto, la maggiore integrazione possibile con il territorio. In quella giornata, quindi, porteremo i risultati e parleremo di cosa intendiamo fare nel prossimo futuro. Quindi un progetto di assistenza in collaborazione con altre realtà, non solo mirato a garantire la salute della persona, ma anche una integrazione sociale».
Come nel dettaglio?
«Con uno stretto rapporto con i Comuni e con gli enti del terzo settore, quindi le associazioni che si occupano di favorire l’integrazione. Per permettere a queste persone di acquisire un’attività lavorativa e mantenerla del tempo. E ciò, proprio nell’ottica di arrivare verso la salute nel senso più lato possibile, quindi il benessere della persona».
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