L'ANALISI
14 Novembre 2025 - 16:42
CREMONA - «Sei finito qui, ma non sei finito». Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile ‘Cesare Beccaria’ di Milano, accoglie così i ragazzi che finiscono in istituto. Un’accoglienza che non è solo un augurio, ma un programma, reale e concreto, di rieducazione per chi ha sbagliato. «Così come prevede la nostra Costituzione», ha detto il sacerdote, intervenuto stamattina al convegno nel Salone dei quadri, nell’ambito delle celebrazioni per gli 80 anni della Costituzione, una serie di incontri voluti dal prefetto Antonio Giannelli, un progetto coordinato dalla professoressa Giusy Rosati.
In una sala stracolma di studenti, professori e operatori sociali hanno seguito gli interventi con molta attenzione e partecipazione, come ha sottolineato il direttore del quotidiano La Provincia, Paolo Gualandris, che ha moderato l’incontro, aperto con i saluti istituzionali della consigliera comunale Vittoria Loffi e dal vice prefetto vicario di Cremona, Iole Galasso.

Gualandris ha inquadrato l’iniziativa partendo col leggere due articoli della Costituzione: quello che riguarda la libertà personale (il 13) e quello che prevede le pene ma anche la rieducazione del detenuto (il 27). Poi il direttore ha posto il problema della sicurezza, delle baby gang che stanno creando problemi «nella quieta Cremona, anche se i dati, che non sembrano andare in questa direzione, non corrispondono alle sensazioni».
Don Burgio è anche coordinatore e animatore della comunità Kairos di Milano, una struttura che ha accolto e accoglie centinaia di ragazzi passati dal carcere e ai quali è stata data un’altra opportunità; molti di sono diventati rapper e musicisti (compreso Baby Gang), altri hanno finito gli studi e trovato un lavoro «ma non sempre i nostri tentativi vanno a buon fine», ha detto il sacerdote.
Don Burgio ha fatto parlare i numeri: «In tutta Italia i detenuti minorenni sono passati da 350 a 700 (10 le donne) ma le carceri, come il ‘Beccaria’, sono rimaste le stesse con problemi di affollamento. I ragazzi dormono ammassati, perfino per terra, e chi è che si sistema per terra? Il più debole, l’ultimo arrivato. Vincono i più forti, ed è qui il grande errore: se il carcere propone gli stessi modelli per cui un ragazzo finisce in cella è un fallimento, così il carcere non serve a nulla. Io spero che per i minori prima o poi venga adottato qualche altro dispositivo, anche se a volte serve, serve per fermare un ragazzo; vivere in carcere non è per nulla facile. Occorre però applicare in toto l’articolo 27, soprattutto nella parte che riguarda la rieducazione».
E a tal proposito il sacerdote non ha taciuto sull’inchiesta portata avanti dalla magistratura su presunti maltrattamenti sui giovani detenuti da parte delle guardie penitenziarie. «Un’inchiesta importante, che per me rappresenta anche una sconfitta - ha ammesso -. I 33 ragazzi maltrattati non me ne hanno mai parlato».

Parlare e capire, queste le parole più usate dal don, che ha raccontato di ragazzi che attraverso la musica, soprattutto rapper, raccontano le loro storie di vita, spesso crudeli e violente. «Ci sono ragazzi che a 15 anni sono già passati da mezza Europa, fuggendo da condizioni di estrema povertà o disagio; sono quasi tutti minori non accompagnati che, attirati dalle immagini, che guardano sui telefonini, dell’opulenza delle nostre città, dalle luci e dal benessere, affrontano viaggi spaventosi anni, anche a 10 anni, pieni di speranza. Poi arrivi in una grande città, dove non conosci nessuno, e se sei senza soldi e senza casa, ecco che delinqui. Non è una giustificazione, io sono convinto che chi sbaglia deve pagare. Il problema è che bisogna garantirgli un’altra opportunità, questa è la pienezza della Costituzione, una Carta nata da ciò che il mondo ha patito dopo la Seconda Guerra mondiale per colpa dei nazionalisti e dei fascismi».
Alla precisa domanda di Gualandris («Chi sono questi ragazzi?») don Burgio ha risposto senza esitazioni: «Quasi tutti stranieri, minori non accompagnati, stranieri di seconda generazione, cioè italiani; sono nati qui, dunque sono italiani, molti vivono nella 'Seven Zone' a San Siro, un quartiere violento, con armi, droga e spaccio».
Il sacerdote ha raccontato anche storie a lieto fine, di ragazzi integrati con lo sport, la musica, la scuola, l’amicizia, la tolleranza, «ragazzi che prima non parlavano neppure, che conoscevano solo la legge del più forte, convinti che la strada e la violenza fossero il loro futuro». Don Burgio, dopo aver risposto alle domande di alcuni studenti, ha terminato l’intervento con un’esortazione: «Non fatevi ammaliare e ingannare dai social che vi fanno credere qualunque cosa. La realtà è diversa, molto diversa dalla rete».
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