Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

LA VIDEO INTERVISTA

Viroli: «Torniamo alla dolcezza del vivere libero»

Docente emerito di Princeton, ospite dei Lions Cremona Duomo e Host Lezione sul repubblicanesimo e sul senso più profondo della cittadinanza

Riccardo Maruti

Email:

rmaruti@laprovinciacr.it

10 Ottobre 2025 - 05:25

CREMONA - È tornato in Italia per un dialogo sul senso profondo della cittadinanza. Maurizio Viroli, professore emerito di Teoria politica all’Università di Princeton, ieri ha incontrato il pubblico dei Lions Club Cremona Host e Cremona Duomo per parlare di civismo e repubblicanesimo, presentando il suo ultimo saggio “Consumare, obbedire, tacere. La nuova preistoria dell’Occidente” (Castelvecchi).

Prima di una lezione densa e appassionata a palazzo Trecchi, il filosofo politico insieme alla moglie Gabriella ha fatto visita alla redazione del giornale La Provincia — accompagnato dal presidente del Cremona Host Daniele Squintani e dai Lions Emanuela Zanesi e Anselmo Gusperti e accolto dal direttore del quotidiano Paolo Gualandris — per una conversazione che ha toccato Machiavelli, Mazzini, la Costituzione e il futuro dell’Europa, ma soprattutto il destino della libertà civile.

lions

Gabriella Viroli, Maurizio Viroli, Emanuela Zanesi, Daniele Squintani e Anselmo Gusperti

Professore, cosa significa oggi essere cittadini repubblicani in Italia? Quanto pesa ancora la tradizione civica di Machiavelli e del primo Risorgimento?
«Essere cittadini repubblicani vuol dire vivere liberi, nel senso di non essere soggetti a un signore, a un principe o a un potere assoluto. Significa darsi leggi comuni e rispettarle, riconoscendo il valore dei doveri prima ancora dei diritti. Questa tradizione è nata qui, nelle libere città italiane del tardo Medioevo – Firenze, Siena, Pisa, Lucca, anche Cremona per certi periodi – ed è una delle eredità più alte che l’Italia abbia donato al mondo. Ha conosciuto periodi difficili, quando le repubbliche sono cadute sotto i Medici o sotto potenze straniere, ma ha trovato nuova linfa nel Risorgimento e poi nella Costituente. De Gasperi, chiudendo i lavori, ringraziò Mazzini e la tradizione repubblicana. Purtroppo oggi quella coscienza è poco amata, poco conosciuta. Abbiamo regalato al mondo l’idea della libertà repubblicana e poi ce ne siamo dimenticati. Bisogna tornare a farne un punto di riferimento per tutti, non solo per le élite».

Lei sostiene che la libertà repubblicana è partecipazione attiva alla cosa pubblica. Come si può riaccendere oggi questo senso di responsabilità civica?
«Il pensiero repubblicano parla di rinascere, cioè ritrovare la propria vera vita come individui e come comunità. Machiavelli diceva che l’Italia sembra nata per far rinascere le cose morte. Ebbene, può farlo ancora. Servono leader morali e politici che sappiano ispirare, con la parola e con l’esempio, la volontà di vivere liberi. La Resistenza lo ha dimostrato: dopo vent’anni di regime e obbedienza cieca, gli italiani hanno ritrovato la dignità civile. Oggi le democrazie degenerano: si parla di ‘democrature’, ma io direi repubbliche corrotte, dove la vita pubblica è in mano a guru finanziari e mediatici. Una repubblica sana, invece, vive se i cittadini vigilano e controllano i propri rappresentanti».

Il repubblicanesimo mette i doveri al centro. Perché in Italia questa idea appare così impopolare?
«Perché la libertà è difficile. È più comodo essere sudditi, chiedere favori, vivere da clienti del potente. Machiavelli lo sapeva: la libertà è l’eccezione, non la regola. Viviamo un’epoca di decadenza civile, dominata dal potere economico e dalla tentazione della resa. Ma la storia va a cicli. Dopo ogni decadenza può esserci una rinascita. Questo è il tempo di seminare, di trovare le parole giuste per il domani».

Lei vive negli Stati Uniti. Qual è la differenza principale tra il senso civico americano e quello italiano?
«Negli Stati Uniti domina il nazionalismo. Trump lo ha detto chiaramente: ‘Non c’è niente di sbagliato nel nazionalismo’. È un patriottismo di potenza, che esclude e divide. Io penso, invece, che si debba riscoprire il linguaggio della ‘patria’ nel suo significato mazziniano. Il patriota vuole la libertà del suo popolo e di tutti i popoli. Guai a dimenticare il patriottismo italiano del Risorgimento, perché senza di esso non abbiamo nulla da opporre ai nuovi nazionalismi».

E l’Europa? Ha ancora una missione civile?
«Dovrebbe ritrovare l’ideale della fratellanza delle nazioni, la visione dei padri fondatori. Oggi domina il linguaggio dell’economia, del riarmo, della potenza, e così l’Europa si smarrisce. Non può competere con Stati Uniti, Russia o Cina sul terreno della forza. La sua via è quella della pace, della giustizia sociale, dell’unione morale. Si torni alla Giovine Europa mazziniana: un’unione di popoli liberi, non un mercato».

Il rapporto tra libertà individuale e bene comune divide americani ed europei. Esiste una sintesi repubblicana?
«Negli Stati Uniti la libertà è vista come assenza di interferenze. In Europa, dalla metà dell’Ottocento, abbiamo compreso che servono diritti sociali per rendere effettive le libertà: lavoro, istruzione, salute, assistenza. È un’idea più ricca e più giusta. Ma anche questa sta cedendo. Oggi si dice che il welfare costa troppo. Io rispondo: se so che le mie tasse finanziano buoni servizi, sono felice di pagarle. È un discorso inattuale, certo, ma proprio per questo va riscoperto».

Cosa manca all’educazione civica italiana?
«Mancano i maestri, non i programmi. Educare alla cittadinanza significa ispirare, accendere la volontà di vivere da cittadini. Io e mia moglie abbiamo fondato un master in educazione civica: ha funzionato, dimostrando che servono formatori, visione, coraggio politico. Quando mancano i cittadini, restano i sudditi. E dove ci sono sudditi, presto arriva un demagogo. La folla sembra forte, ma è debolissima perché è manovrabile».


Quale riforma può restituire forza civica e dignità repubblicana all’Italia?
«Ripartire dalla Costituzione, che compie ottant’anni. Dentro c’è tutto: il senso del dovere, la giustizia, la libertà. E bisogna riscoprire quella che Machiavelli chiamava ‘la dolcezza del vivere libero’: un vivere nella città, insieme, pronti ad assolvere ai propri doveri. Il vivere libero è luminoso, genera gioia, libera dalla paura. È il gaudium del bene comune che prevale sull’interesse particolare. È da lì che bisogna ricominciare».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400