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PILLOLE DI SALUTE

Quando l'afa uccide, come evitare i rischi

Giovanni Viganò, primario della Divisione di emergenza e urgenza dell'Asst di Crema: «I malati cronici i più vulnerabili al colpo di calore»

Cristiano Mariani

Email:

cmariani@laprovinciacr.it

24 Luglio 2025 - 05:30

CREMA - Giovanni Viganò, laurea conseguita all’Università degli studi di Milano e specializzazione in medicina interna a Pavia, ma anche un master di secondo livello in management strategico, dal 2017 è direttore del Dipartimento di emergenza e urgenza dell’ospedale Maggiore. E fa parte dell’Osservatorio regionale sui flussi di ricovero dal Pronto soccorso al Dipartimento medico.

L’afa intensa può causare patologie e malesseri. Quali sono?
«Possono essere molteplici, colpendo anche le persone sane. Tra i più comuni troviamo la disidratazione, che è dovuta all’eccessiva perdita di liquidi e sali minerali e può causare debolezza, stanchezza, cali di pressione e confusione mentale. Possiamo avere anche crampi muscolari, che sono legati appunto alla perdita di sali a livello del circolo sistemico, per una sudorazione intensa. Ma anche ipotensione ortostatica con capogiri, fino ad arrivare a perdite di coscienza. E ciò capita soprattutto in soggetti anziani, già portatori di patologie. Possiamo poi arrivare all’esaurimento da calore, che si manifesta con stanchezza intensa, nausea, tachicardia, cefalea. Ma è il colpo di calore la forma più grave: una vera e propria emergenza medica, molto rara, ma che richiede un trattamento ospedaliero. Ovviamente tutti questi quadri clinici, nel momento in cui vengono riconosciuti e trattati tempestivamente, si risolvono senza lasciare nessun tipo di conseguenza».

Quali i campanelli d’allarme che devono indurre a recarsi in Pronto soccorso?
«I sintomi sono di solito astenia marcata e senso di spossatezza persistente, vomito, incapacità ad alimentarsi e a idratarsi, confusione con disorientamento, difficoltà nel parlare e nel camminare, febbre alta. Ma anche una pelle secca e arrossata».

Cosa accade se non si interviene in tempo?
«La presenza di questi sintomi è correlata a disturbi che vanno trattati. E quindi si tratta di disturbi che meritano un approfondimento. Il corpo umano ha una notevole capacità di adattamento al caldo, ma nei casi di ipertermia grave e prolungata, questo equilibrio può rompersi. Quindi il corpo non è più in grado di regolare la sua temperatura. La termoregolazione fisiologica, quindi, fallisce. E il calore interno si accumula. Ciò porta conseguenze gravi, che possono essere addirittura letali».

Quindi, un’esposizione al sole eccessivamente prolungata non è consigliata?
«È corretto: infatti, questo, è un po’ il punto centrale. Se la termoregolazione fallisce, la temperatura corporea aumenta. E il corpo non è più in grado di mettere in atto meccanismi tali, per cui la temperatura si abbassi fisiologicamente. A questo punto, si produce un danno cellulare diffuso un po’ su tutti gli organi. Quindi una disfunzione multiorgano: dal rene, al cervello, al fegato, con i sintomi cui abbiamo accennato prima. Vi possono essere complicanze cardiovascolari con aritmie e ischemie e segni di shock, fino all’evento terminale, che è appunto il coma. È quindi l’evento che dobbiamo in qualche modo interrompere, nel momento in cui ci rendiamo conto di rischiare il colpo di calore».

Le categorie più vulnerabili, al di là degli anziani e dei bambini?
«Naturalmente le categorie più vulnerabili sono appunto gli anziani, che hanno una ridotta percezione della sete e una termoregolazione che non è più efficiente come quella dei giovani. E ovviamente i bambini, che non hanno ancora un sistema di raffreddamento, quindi di dispersione del calore efficiente e maturo. E quindi possono andare a loro volta in accumulo di calore. Ma anche i pazienti con patologie croniche: quelle cardiovascolari, la bronchite, le nefropatie. E chi assume farmaci che alterano la risposta al caldo, come i diuretici, i betabloccanti, i neurolettici. Poi, chiaramente, le persone che sono esposte al sole in ambienti di lavoro. Si pensi a chi operi nell’ambito dell’agricoltura, dell’edilizia, ma anche nell’industria. Quindi, soggetti che sono esposti a temperature elevate per un lungo periodo. Ma vi rientrano pure gli sportivi che si allenano all’aperto».

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